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La forza delle donne: il contributo femminile nelle Forze Armate italiane

Nov 18 2024
Rita Lazzaro
Dall’ingresso nelle Forze Armate alla conquista di ruoli di comando, le donne portano avanti un percorso di coraggio, competenza e cambiamento nel mondo militare.

Il 20 ottobre del 1999 rappresenta una data di grande svolta nelle FF. AA.

Infatti, con la legge numero 380, l’Italia si è allineata ai Paesi della NATO, facendo aderire anche le donne alle Forze armate, dando così inizio al reclutamento femminile.

Una partecipazione delle cittadine italiane al sistema della Difesa nazionale e della sicurezza internazionale sviluppatasi gradualmente per poi affermarsi definitivamente.

Non per nulla, nel 2019, nei ranghi delle Forze armate, erano presenti ben due generazioni di donne, per un totale di oltre 17 000 militari, pari a circa il 6.3% dell’intero organico.

Per di più, con la progressione di carriera, le donne possono ambire a ricoprire cariche di vertice della gerarchia militare.

Il modello di reclutamento italiano ammette le donne in tutti i ruoli, attraverso l’arruolamento di allieve ufficiali e sottufficiali dei corsi normali 1, tenuti dagli istituti di formazione militare, di ufficiali a nomina diretta, reclutate attraverso concorsi per laureati, e con il reclutamento come militari di truppa in ferma prefissata.

Il modello italiano, per di più, risulta tra i più avanzati in termini di parità. Questo per via dell’assenza, sul piano formale, di preclusioni d’incarichi e d’impieghi, oltre che di ruolo o di categorie.

Un modello che sfida indubbiamente l’impegno dell’organizzazione volto a garantire, in modo pratico ed avanzato, le varie e diverse esigenze di vita quali:

conciliare il lavoro con la famiglia,
matrimoni e unioni tra militari,
limitazioni e vincoli alla mobilità per esigenze familiari,
periodi di gravidanza,
allattamento così come la cura e l’educazione dei figli nel corso della vita professionale caratterizzata anche da lunghi periodi impegnati in missioni fuori area.

Un reclutamento graduale

Inizialmente si è assistito a un reclutamento femminile graduale sia per quanto concerne i numeri delle unità da incorporare sia per quanto riguarda i livelli gerarchici da alimentare.

In un primo passaggio, si è data priorità all’arruolamento degli ufficiali per poter disporre, al momento del reclutamento nei ruoli dei sottufficiali e truppa, di donne in grado d’istruire e guidare le reclute. Dopo il reclutamento di ufficiali a ‘nomina diretta’, già in possesso di titolo di laurea, destinate a percorsi di formazione militare di durata inferiore ai 12 mesi, sono state ammesse percentuali contingentate di donne nelle accademie per ufficiali e nelle scuole per sottufficiali e truppa.

La progressiva ammissione delle donne nei vari ruoli ha permesso di affrontare e risolvere le varie problematiche personali, logistiche e infrastrutturali, adattando e modificando, infatti, un’organizzazione strutturata e alimentata, fin a quel momento, solo da personale maschile.

Nel 2006 la divisa femminile raggiungerà un altro grande e importante traguardo: l’estensione del reclutamento anche all’Arma dei carabinieri, eliminando qualsiasi limitazione sulle percentuali di reclutamento.

Nel 2009 si assiste a un altro passo avanti per le donne in divisa: le scuole superiori militari hanno ammesso le allieve (Nunziatella e la Teuliè per l’Esercito, Morosini per la Marina e Douhet per l’Aeronautica).

Secondo una proiezione teorica, la prima ufficiale donna, proveniente dai ruoli normali delle accademie militari, sarà valutata per la promozione al grado di colonnello nel 2024.

Nell’Arma dei Carabinieri si hanno già ufficiale donna nei gradi di generale di brigata e di colonnello provenienti dal Corpo Forestale (Forza di polizia incorporata nell’Arma dei carabinieri l’1.1.2017) e dalla Polizia di Stato.

Dal Regno d’Italia alla Costituzione

Nonostante gli interventi del 2000 che ha dato una svolta radicale alla carriera militare delle donne italiane, la loro presenza nelle FF. AA, in realtà ha inizio circa ottanta anni fa.

“Le donne sono ammesse, a pari titolo degli uomini, ad esercitare tutte le professioni ed a coprire tutti gli impieghi pubblici, esclusi soltanto, se non vi siano ammesse espressamente dalle leggi, quelli che implicano poteri pubblici giurisdizionali o l’esercizio di diritti e di potestà politiche, o che attengono alla difesa militare dello Stato secondo la specificazione che sarà fatta con apposito regolamento” questo è quanto era previsto nel testo della legge del 1919, quando il re d’Italia, Vittorio Emanuele III, emanò una normativa che ammetteva la donna ad esercitare le professioni e a ricoprire tutti gli impieghi pubblici, con esclusione di quelli implicanti poteri giurisdizionali ed attinenti alla difesa militare dello Stato.

Le limitazioni che verranno superate dal concetto di parità tra i sessi previsto dalla Costituzione repubblicana, in particolar modo dagli articoli 3, 37, 51 e 52 che, infatti, sanciscono i diritti e i doveri in materia di parità, riconosciuti a tutti i cittadini italiani senza distinzione di sesso.

Un principio che, oltre che dalla Costituzione, è affermato anche dal Codice civile, dal diritto di famiglia, dal Codice Penale e garantito da numerosi trattati e risoluzioni internazionali.

Eppure, nonostante l’intervento della Carta Costituzionale, la legge 9.2.1963 n. 66, che consentiva l’accesso delle donne a tutte le cariche compresa la magistratura, mantenne la riserva per il servizio militare, non chiudendo però la porta del tutto.

Infatti, la normativa, rimandando l’arruolamento della donna a leggi speciali, può essere vista come un primo passo giuridico della formazione del servizio militare femminile.

Per concretizzare il principio costituzionale e sciogliere la riserva contenuta nella legge sopraccitata, negli anni successivi, furono predisposti diversi schemi di provvedimenti legislativi che prevedevano varie soluzioni, quali l’istituzione del:

servizio femminile su base volontaria,
Corpo Ausiliario Femminile,
Corpo Militare Interforze,
reclutamento femminile in via sperimentale per cinque anni.

Un importante traguardo fu raggiunto con la legge n. 121 del 1981 sul riordino della Pubblica Sicurezza e la smilitarizzazione della Polizia di Stato. La normativa, infatti, consentì il reclutamento di donne nella: Polizia di Stato, nella Polizia penitenziaria e nel Corpo forestale dello Stato.

Solo dopo oltre quindici anni dall’assunzione delle donne in Polizia, il 15 gennaio 1997, il disegno di legge delega per l’istituzione del servizio militare volontario femminile raggiunse una versione definitiva.

Dopo trentadue mesi, nella seduta n. 592 del 29 settembre 1999, a conclusione dell’iter parlamentare, l’atto fu approvato alla Camera, con alcune modifiche, a larghissima maggioranza.

Fu così approvata la legge n. 380/99.

Con questa normativa il Parlamento ammise le donne nelle Forze armate e nella Guardia di Finanza, a partire dall’anno 2000, delegando il Governo ad emanare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, i decreti legislativi per disciplinare:

il reclutamento,
lo stato giuridico
l’avanzamento del personale militare femminile.

Sentito anche il parere del Comitato consultivo sul servizio volontario femminile, fu deciso di prevedere, fino al 2006, un limite massimo compreso tra il 10 e il 30% di donne, in relazione alla categoria interessata, a causa della situazione logistico-infrastrutturale degli istituti ed enti esistenti.

Infatti, i primi bandi di concorso per il reclutamento nelle accademie militari dell’Esercito, Marina e Aeronautica furono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale del 4 gennaio 2000 prevedevano l’ammissione di non più di 20 donne su 100 candidati.

Nello stesso anno, furono banditi anche i primi concorsi per allieve maresciallo presso le scuole sottufficiali di ciascuna Forza armata e, solo per l’Esercito, per volontarie in ferma breve. In via transitoria, per i primi tre anni di reclutamento, i limiti di età per le concorrenti di sesso femminile furono aumentati di tre anni rispetto agli uomini.

A spingere il reclutamento femminile nei ruoli della truppa a partire già dal 2000, fu il Presidente della Commissione Difesa della Camera, Valdo Spini, primo firmatario del disegno di legge sulle donne militari, che interessò della questione il Ministro della Difesa pro-tempore, Sergio Mattarella.

Il Ministro garantì la possibilità di estendere anche alle donne gli arruolamenti straordinari dei volontari in forma breve dell’Esercito, anticipando così di almeno dodici mesi l’ingresso delle donne in tale categoria, inizialmente previsto solo a partire dal 2001/02. Dal 2003, con l’emanazione del 6° concorso “ordinario” per volontari in forma breve, partì l’arruolamento per le donne militari della truppa anche nelle altre Forze armate e nell’Arma dei carabinieri, nella misura percentuale massima del 15% dei posti disponibili.

Per l’anno scolastico 2009 /2010, presso le scuole superiori militari delle Forze Armate, furono previsti, per la prima volta dalla loro istituzione, posti riservati alle concorrenti di sesso femminile.

Per quanto riguarda i ruoli normali, questi sono destinati a personale, in possesso di diploma di scuola secondaria di secondo grado e vincitore di appositi concorsi, che, al termine del percorso formativo, conseguono la laurea magistrale (ufficiali) o triennale (sottufficiali).

Il ruolo delle donne nelle FF.AA

Il fondamentale ruolo delle donne nelle FF. AA, soprattutto in uno scenario di guerre che continuano a non arrestarsi, lo si può riscontrare nelle parole di Paolo Giordani, presidente dell’Istituto Diplomatico Internazionale, alla conferenza internazionale del 2023, organizzata dall’Istituto Diplomatico Internazionale con il patrocinio del ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale:

“Le donne nelle Forze Armate e di Polizia: capacità di intermediazione e soluzione diplomatica nelle situazioni di conflitto”.

Giordani ha sottolineato il ruolo della donna come parte costitutiva, integrante e operativa dei corpi di cui fanno parte, facendo altresì riferimento alle capacità femminili di affrontare e risolvere i conflitti:

«Le donne hanno dimostrato, in molte parti del mondo, di essere altamente competenti, determinate e capaci di svolgere ruoli chiave all’interno delle Forze Armate – ha dichiarato l’avvocato Lorenzo Midili, scelto dal Partito Popolare Europeo per pianificare progetti che promuovano l’area tematica della Difesa a livello europeo -. La loro inclusione non solo riflette il principio di uguaglianza di genere, ma porta anche a una maggiore diversità di prospettive e abilità all’interno dei corpi militari».

Un quadro in rosa confermato anche dal sottosegretario di Stato alla Difesa, la senatrice Isabella Rauti, la quale ha sottolineato l’importanza delle donne per il conseguimento della pace.

Interventi che confermano come l’operato delle donne nelle missioni internazionali sia “un moltiplicatore di sicurezza e di compatibilità con la popolazione civile, in particolare con le altre donne e i loro figli”.

Parole che sottolineano come la donna, dopo un percorso fatto di piccoli grandi passi e tuttora in itinere, sia ormai diventata una colonna portante delle FF.AA.

La violenza di genere nelle FF.AA

Una colonna portante che, purtroppo, non tutti hanno la capacità di apprezzare e quindi valorizzare. Infatti, non mancano episodi intrisi di maschilismo e sessismo, come si può amaramente riscontrare con lo scandalo successo nei giorni scorsi, che vede nelle bufera un maresciallo dell’Esercito Italiano.

Quest’ultimo sarebbe infatti al centro di un’inchiesta della procura di Bolzano per corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio e frode nelle pubbliche forniture: dalle offese alle minacce fino all’impiego dei militari per lavori da manovali.
Uno scenario che, qualora dovesse risultare vero, sarebbe tanto inquietante quanto vergognoso.
Nel frattempo, è stata avviata un’indagine interna da parte dell’Esercito sui presunti illeciti avvenuti nel Villaggio Alpino ‘Tempesti’ di Corvara in Badia.
Questo è quanto affermato dalla stessa Forza Armata in una nota nella quale viene ribadita «la totale fiducia negli organi inquirenti assicurando, come sempre fatto, la massima collaborazione all’autorità giudiziaria».
La procura di Bolzano, secondo quanto riportato da “Repubblica”, avrebbe aperto un fascicolo su alcune vicende consumatesi all’interno della caserma da parte del maresciallo S.B verso i suoi sottoposti.
L’uomo dal 2021 era al comando della base logistica addestrativa all’interno del villaggio Tempesti, struttura a un’ora e mezza da Bolzano, che addestra militari ma che ospita anche civili.
Sempre secondo quanto scritto da Repubblica, il maresciallo al suo arrivo aveva ridotto la sala Fisi, dedicata agli atleti, in una sala massaggi, di cui solo lui poteva far uso, costringendo una giovane soldatessa a farglieli perché “a lui non si può opporre rifiuto per timore di ripercussioni”.

Ma non è finita qui, altri militari erano stati ridotti a veri e propri operai, in quanto costretti a svolgere mansioni come quelle di tagliare la legna o eseguirgli dei lavoretti edili in casa sua.

La spillatrice di birra dello spaccio, invece, sarebbe stata a suo uso e consumo, trattenendone i proventi (5 euro a boccale), che non venivano inviati a Difesa e Servizi spa.

Per di più, i sottoposti venivano insultati quotidianamente dal maresciallo. Questi infatti si sentiva intoccabile, in quanto vantava alte conoscenze alla procura militare di Verona, nonché nelle alte sfere dello Stato maggiore dell’Esercito, contatti che gli avrebbero garantito l’impunità. “Non capite un c***”, diceva ai colleghi, “sei un c***one, siete categoria inferiore”. “Se io sono maresciallo è perché sono più intelligente di voi”, “siete dei soldati di m***a”, questi sono solo alcuni degli insulti rivolti agli altri militari. E chi osava ribellarsi era fuori.

Da ricordare altresì il caso della ristrutturazione, appaltata ad una ditta di “amici” (pagata 25mila euro), che però si sarebbe servita della manodopera soldati, ovviamente a titolo gratuito. Non per nulla, il titolare dell’impresa, Stefan Mayr, è amico del maresciallo. “Ci siamo ritrovati a lavorare dalle 8 alle 18 come operai”, il racconto di uno dei militari.

Parole e dinamiche che dimostrano come la lotta alla violenza di genere nelle FF.AA parta proprio dalla lotta a una gerarchia intrisa di pregiudizi e tabù.

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