Se muoio per altri cento, rinasco altre cento volte: Dio è con me e io non ho paura!”
Il 23 settembre 1943 moriva Salvo D’Acquisto, il vicebrigadiere dell’Arma dei Carabinieri Reali, sacrificatosi per salvare un gruppo di civili durante un rastrellamento delle truppe naziste nel corso della seconda guerra.
«All’ultimo momento, però, contro ogni nostra aspettativa, fummo tutti rilasciati eccetto il vicebrigadiere D’Acquisto. … Ci eravamo già rassegnati al nostro destino, quando il sottufficiale parlamentò con un ufficiale tedesco a mezzo dell’interprete. Cosa disse il D’Acquisto all’ufficiale in parola non c’è dato di conoscere. Sta di fatto che dopo poco fummo tutti rilasciati: io fui l’ultimo ad allontanarmi da detta località.», questo secondo la testimonianza di Angelo Amadio, uno dei 22 condannati dai tedeschi.
Un atto eroico che portò al giovane militare ‘ diverse Onorificenze, tra queste la Medaglia d’oro al valor militare (alla memoria) «Esempio luminoso d’altruismo, spinto fino alla suprema rinuncia della vita, sul luogo stesso del supplizio, dove, per barbara rappresaglia, era stato condotto dalle orde naziste insieme con 22 ostaggi civili del territorio della sua stazione, pure essi innocenti, non esitava a dichiararsi unico responsabile di un presunto attentato contro le forze armate tedesche. Affrontava così — da solo — impavido la morte, imponendosi al rispetto dei suoi stessi carnefici e scrivendo una nuova pagina indelebile di purissimo eroismo nella storia gloriosa dell’Arma.»
Un gesto nobile che lo portò altresì alla canonizzazione. Infatti, nel 1983 S.E. Mons. Gaetano Bonicelli annuncio’ l’apertura presso l’Ordinariato militare di una causa di canonizzazione; di conseguenza a Salvo D’Acquisto è attualmente assegnato dalla Chiesa il titolo di Servo di Dio.
Una figura eroica ricordata anche dal papa Giovanni Paolo II, che in un discorso ai Carabinieri del 26 febbraio 2001 dichiarò:
«La storia dell’Arma dei Carabinieri dimostra che si può raggiungere la vetta della santità nell’adempimento fedele e generoso dei doveri del proprio stato. Penso, qui, al vostro collega, il vice-brigadiere Salvo D’Acquisto, medaglia d’oro al valore militare, del quale è in corso la causa di beatificazione.»
Nella testimonianza resa da Armadio nel 1957, l’operaio, mentre correva, fece in tempo a sentire il grido “Viva l’Italia”, lanciato dal giovane patriota, seguito subito dopo dalla scarica di un’arma automatica che portava a termine l’esecuzione.
“Il vostro Brigadiere è morto da eroe. Impassibile anche di fronte alla morte”, furono queste, secondo quanto riferito nella testimonianza della Baglioni, le parole dei tedeschi il giorno dopo la morte del militare.
Onorificenze, canonizzazione e testimonianze che confermano lo spirito coraggioso dal cuore patriottico del giovane brigadiere.
Chi era Salvo D’Acquisto, prima di diventare un fedele servitore di Dio e della Patria?
Tutto inizia a Napoli nella città natale del giovane militare, nato il 15 ottobre 1920 a Villa Alba, un edificio di quattro piani in via San Gennaro nel rione Antignano.
Primogenito di cinque figli, Salvo D’Acquisto cresce in una famiglia profondamente cristiana.
La sua vita nell’arma fa i suoi primi passi in giovanissima età, quando, il 15 agosto 1939, all’età di 18 anni, si arruola nei Carabinieri come volontario frequentando la Scuola allievi carabinieri di Roma, dipendente dalla 2ª Divisione “Podgora”.
Con l’entrata in guerra dell’Italia, il giovane si arruola volontario per la Libia italiana nella Campagna del Nordafrica (1940-1943) del Teatro dell’Africa e del Medio Oriente ed il 28 ottobre 1940 viene mobilitato con la 608ª Sezione Carabinieri (polizia militare), inquadrata nella 13ª Divisione Aerea “Pegaso” di stanza a Bengasi, parte della Squadra Aerea “Aeronautica della Libia – Est” della Regia Aeronautica.
Rientrato in Italia per una licenza di 3 mesi, in seguito si aggrega dal 13 settembre 1942 alla Scuola Centrale Carabinieri Reali di Firenze, per frequentarvi il corso accelerato per la promozione a vicebrigadiere che conseguirà il 15 dicembre 1942, mentre il 19 dicembre viene destinato alla stazione carabinieri ubicata nel Castello di Torre in Pietra.
Nel tardo pomeriggio del 22 settembre 1943, alcuni dei paracadutisti tedeschi della 2. Fallschirmjäger-Division, mentre ispezionavano casse di munizioni abbandonate, furono investiti dall’esplosione di una bomba a mano o forse dall’incauto maneggio di ordigni usati per la pesca di frodo, a suo tempo sequestrati dai finanzieri. Due paracadutisti morirono e altri due rimasero feriti.
Il gesto che rese eterno Salvo D’Acquisto
Il comandante del reparto, un maresciallo, che attribuì la responsabilità dell’accaduto ad anonimi attentatori locali, aveva minacciato una rappresaglia se entro l’alba non fossero stati trovati i colpevoli.
Fu richiesta altresì la collaborazione dei Carabinieri della locale stazione, temporaneamente comandata proprio dal vicebrigadiere napoletano per l’assenza del maresciallo comandante.
La mattina seguente il giovane patriota, assunte alcune informazioni, provò a convincere i tedeschi sul fatto che l’accaduto era da considerarsi un caso fortuito e quindi un incidente privo di autori, ma i tedeschi restarono fermi sulla loro posizione confermando così l’intenzione di dare corso ad una rappresaglia ai sensi di un’ordinanza emanata dal feldmaresciallo Albert Kesselring pochi giorni prima.
E così fu: Il 23 settembre si procedette a dei rastrellamenti che portarono alla cattura di 23 uomini e un ragazzino scelti a caso fra gli abitanti della zona, e 22 di loro furono portati sul luogo dell’esecuzione:
• Angelo Amadio (18 anni);Arnaldo Attili, detto Nando, muratore, padre di Attilio; Attilio Attili, muratore, figlio di Arnaldo; Ennio Baldassarri (13 anni), il più giovane del gruppo, ma fatto scendere dal camion prima di andare al luogo dell’esecuzione; Gino Battaglini; Vittorio Bernardi, detto “Carnera”, fabbro e muratore, fu obbligato a scavare con le mani la fossa non essendoci pale a sufficienza per tutti; Tarquinio Boccaccini (31 anni), figlio del fattore dell’azienda agricola Torre in Pietra, fu catturato nel cortile del castello, dove viveva con la famiglia; Enrico Brioschi (36 anni), cameriere del Conte Nicolò Carandini; Giuseppe Carinci (alcune fonti lo nominano Carigi, circa settantenne), spazzino, tentò la fuga e fu ucciso prima della cattura; Erminio Carlini; Domenico Castigliano, ferroviere; Rinaldo De Marchi (30 anni), muratore; Giuseppe Felter, muratore; Benvenuto Gaiatto (52 anni, di Torre in Pietra), padre di quattro figli e il più anziano del gruppo; Natale Giannacco, muratore;Oreste Mannocci, venditore ambulante di frutta di Santa Marinella; Sergio Manzoni, venditore ambulante di frutta di Santa Marinella; Vincenzo Meta (31 anni, di Maccarese), muratore, padre di 3 figli di cui 1 di un anno; Attilio Pitton, muratore, padre di un ragazzo; Fortunato Rossin, muratore, fratello di Gedeone, padre di due bimbi; Gedeone Rossin, muratore, fratello di Fortunato, scapolo; Umberto Trevisiol (35 anni), muratore, padre di due bimbi; Michele Vuerich (39 anni), detto “Mastro Michele”, capomastro muratore; Ernesto Zuccon, fornaio.
Furono questi gli italiani salvati col sacrificio di Salvo D’Acquisto che, rivolgendosi a loro, disse: “Tanto una volta si vive, una volta si muore“. (ai ventidue civili condannati alla fucilazione).
Una morte che lo portò a vivere in eterno come spetta a ogni eroe.