L’Afghanistan è un enorme buco nero: ecco la situazione dopo il ritorno al potere dei Talebani

Nov 27 2023
Vincenzo Battaglia
Cina, Russia, Qatar e Pakistan: sono tanti gli attori interessati al territorio afghano ma (quasi) nessuno si fida dei Talebani. E nel Paese la crisi umanitaria è sempre più profonda.
(Foto di Farid Ershad da Unsplash)
(Foto di Farid Ershad da Unsplash)

Che fine ha fatto l’Afghanistan? Nei giorni del ritiro della coalizione a guida americana sui media non si parlava altro che del futuro del territorio afghano. A distanza di più di due anni è calato un silenzio tombale sulla vicenda, che ormai ha perso appeal. Eppure il ritorno al potere dei Talebani ha avuto degli effetti devastanti non solo su alcune fette della società afghana (a cominciare dall’apartheid imposto alle donne) ma anche sul piano geopolitico.

Il triplice terremoto che ha colpito il Paese lo scorso ottobre (provocando più di 2mila morti e migliaia di sfollati) ha aggravato una crisi umanitaria già pesantissima, che nasce soprattutto dalla mancanza di cibo: secondo dati riportati da Save The Children circa il 50% della popolazione sta soffrendo la fame. L’economia del Paese di fatto è stata azzerata sotto il regime talebano. In primo luogo, la restaurazione del governo degli studenti coranici ha portato il divieto della produzione di oppio (ritenuta contraria alla Sharia), che di fatto è sempre stata la prima industria afghana. Basti pensare che fino al 2021 in Afghanistan si produceva circa l’85% dell’oppio commerciato in giro per il mondo. Al momento non ci sono state delle ripercussioni sui traffici globali delle sostanze derivanti da oppiacei, quindi gli unici effetti sono quelli subiti dalla manodopera afghana che in precedenza veniva impiegata nella produzione. Il secondo fattore della crisi è dovuto all’isolamento internazionale. Gli aiuti umanitari dei principali organismi sovranazionali (Onu, Wb, Fmi) sono stati tagliati quasi del tutto. L’unica forma di assistenza è quella che deriva dalle Ong, che però hanno sempre più problemi a interfacciarsi con il Paese.

Emergenza unanitaria in Afghanistan. (Foto da UNICEF)
Emergenza unanitaria in Afghanistan. (Foto da UNICEF)

L’isolamento stabilito dall’Occidente viene rispettato dalla comunità internazionale, almeno sul piano formale. Nessuno riconosce il governo talebano, ma in tanti cercano di coprire il vuoto di potere lasciato dal ritiro di Washington. I risultati però non sempre sono quelli sperati. Ne sa qualcosa la Cina, che non ha mai chiuso la sua ambasciata a Kabul e che intrattiene delle relazioni informali con i talebani. Pechino tiene in grande considerazione l’Afghanistan, territorio ricco di risorse come gas naturale, bauxite e uranio, in primo luogo per ragioni economiche. Infatti, uno dei progetti di lungo periodo è quello di far aderire il governo talebano alla Belt and Road Initiative. Tuttavia, l’aspetto che interessa di più al governo cinese è quello della sicurezza. La paura dei cinesi è che i gruppi armati interessati all’indipendenza del Turkestan orientale, quello che loro chiamano Xinjiang, possano usare il territorio afghano come base operativa e di addestramento. Mantenere dei buoni rapporti con i talebani può servire a Pechino per evitare che Kabul stringa rapporti sempre più ambigui con gli uiguri. Quindi se sul lungo periodo l’Afghanistan può rientrare nel progetto egemonico cinese, sul breve lo scenario da evitare, attraverso la diplomazia, è quello che vede i talebani a sostegno della causa uigura.

Anche la Russia ha cercato di aumentare la sua influenza sul territorio afghano con la fine dell’occupazione occidentale. Pure Mosca aveva lasciato aperta l’ambasciata nel Paese, ma è stata costretta a chiuderla in seguito a un attentato suicida rivendicato dall’Isis in cui hanno perso la vita due funzionari russi. Rispetto alla Cina, Putin ha più difficoltà a stringere delle relazioni, sempre ufficiose, con i talebani, in quanto l’invasione sovietica degli anni ottanta non è mai stata dimenticata dalla popolazione locale. La stessa Russia ha bisogno di buoni rapporti con Kabul per ragioni di lotta al terrorismo. A inizio millennio anche i gruppi jihadisti che operavano in Cecenia e in Daghestan avevano usato l’Afghanistan come punto di riferimento logistico. Il Cremlino vede però nel territorio afghano una miniera di opportunità di natura economica e geopolitica. Dopo la Guerra in Ucraina, Mosca è sempre più proiettata verso l’Asia e riaffermare l’egemonia nelle aree centrali del continente è uno dei progetti più importanti per Putin. Kabul in questo senso è una pedina fondamentale.

Tuttavia, tra Russia e Cina da un lato e i Talebani dall’altro ci sarà sempre una certa diffidenza di fondo dovuta, da entrambe le parti, a molteplici aspetti. Sembra quasi impossibile che tra le parti possa mai nascere un rapporto di alleanza serio e strutturato. Per cui gli unici attori realmente in grado di dialogare con gli studenti coranici sono alcuni Paesi del Medio Oriente, il Qatar su tutti. Non è un caso infatti che gli accordi del 2020 tra Washington e i Talebani siano stati siglati proprio a Doha. L’asse tra gli studenti coranici e la monarchia qatariota è molto solido, come dimostra la visita del premier Mohammed bin Jassim al Thani a Kandahar, città in cui risiede il leader talebano Akhundzada. Qualche mese fa un’inchiesta del Tg1 ha raccontato di come, attraverso alcune tangenti a signori della guerra e politici locali, Doha abbia favorito il ritorno al potere dei Talebani. Il Qatar finanzia già i Fratelli Musulmani e l’appoggio ai Talebani potrebbe rientrare in un disegno di ampio respiro per la supremazia in Medio Oriente e Asia centrale.

Quando si parla di Talebani non bisogna mai dimenticare il ruolo del Pakistan, spesso accusato, durante gli anni dell’ascesa degli studenti coranici, di esserne tra i più importanti finanziatori. Nonostante una certa ambiguità di fondo continui a esistere, in particolare in seno all’esercito pachistano, al momento i Talebani per Islamabad rappresentano una doppia minaccia. Da un latto le continue ondate di profughi che dall’Afghanistan cercano rifugio a Peshawar crea molte difficoltà alle autorità pachistane. Dall’altro il TTP, ossia la milizia talebana che opera in Pakistan, compie numerosi attentati nel Paese ed è una minaccia diretta nei confronti del governo di Islamabad.

In generale, il ritorno al potere dei Talebani è un fattore di forte instabilità per tutta l’Asia centrale e per il mondo islamico. L’Afghanistan oggi è tornato a essere un laboratorio per i gruppi jihadisti e un buco nero per tutte le potenze regionali e globali. Inoltre, la stabilità dei Talebani è tutta da dimostrare. Akhundzada non ha il carisma del mullah Omar e le divisioni all’interno degli studenti coranici sembrano crescere sempre di più. Così come diventa sempre più pericolosa la sfida interna lanciata dall’Isis. Infine, se i Talebani non riusciranno a trovare un rimedio alla crisi umanitaria, è possibile che sia la stessa legittimità del regime a essere in pericolo, soprattutto in quelle aree urbane che sono entrate più in contatto con gli emissari occidentali e che potrebbero non essere disposte ad accettare il combinato di ristrettezze economiche e religiose. L’Afghanistan resta quindi un grosso punto interrogativo non solo per la sicurezza regionale e mondiale ma anche per le ambizioni geopolitiche di tutte le maggiori potenze globali.

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