Il 3 ottobre scorso, la Sig.ra Emanuela DEL RE, rappresentante dell’Unione Europea per il Sahel, ha guidato una delegazione dell’UE in una sessione di lavoro con un team governativo, che includeva il Ministro di Stato, il Ministro della Difesa, il Colonnello Maggiore dei veterani Kassoum COULIBALY, S.E. Madame Olivia ROUAMBA, Ministro degli Affari Esteri, della Cooperazione Regionale e del Burkinabè all’Estero, il Ministro Delegato alla Sicurezza Mahamoudou SANA e il Ministro Delegato alla Cooperazione regionale Karamoko Jean Marie TRAORE.
Ecco una intervista da Lei rilasciata al nostro giornale:
Dott.sa Del Re, quali sono stati i punti all’ordine del giorno nel suo incontro con il Primo ministro Kyélèm de Tambèla ? Ha ravvisato un cambiamento nella cooperazione tra Burkina Faso e Unione Europea dopo i recenti colpi di stato?
Come in precedenti occasioni, il mio incontro con il capo dell’Esecutivo burkinabé ha offerto l’occasione per passare in rassegna lo stato delle relazioni bilaterali con l’Unione Europea, per un aggiornamento sulla situazione nel Paese e per uno scambio di vedute sulle dinamiche regionali. I rapporti fra Bruxelles e Ouagadougou sono iniziati da ben prima che la UE si dotasse di una politica estera e di sicurezza comune, ed erano inizialmente incentrati sulla cooperazione allo sviluppo e sull’assistenza umanitaria. Questi due volet oggi sono inseriti in un più generale contesto di dialogo politico, incentrato sui temi del consolidamento dello Stato di diritto, del rispetto dei diritti umani, della bonne gouvernance o buon governo, cui l’Unione europea dedica risorse significative, ricevendo grande apprezzamento da parte del Burkina Faso. Evidentemente, i colpi di Stato nel Paese ci hanno costretti, come UE, a rivedere e riadattare i programmi di partenariato. Senza interrompere in alcun modo i programmi di sviluppo e l’assistenza umanitaria, altri sono stati messi in stand by, in particolare quelli di assistenza nella lotta al terrorismo. Il Burkina Faso ha concordato con l’organizzazione regionale ECOWAS un percorso di ritorno all’ordine costituzionale, che l’Unione europea monitora per poter ristabilire una partnership a 360 gradi con il paese.
Nel suo primo discorso da Primo Ministro, Kyélèm de Tambèla ha dichiarato che “la nostra priorità è il ritorno alla normalità costituzionale”. Ha anche affermato che il suo governo lavorerà per “ridurre la povertà, creare posti di lavoro e migliorare l’istruzione”. Sulla base del vostro incontro, ritiene possibile l’instaurazione di un regime democratico effettivo in Burkina Faso e come vede le prospettive di questo nuovo governo?
Come accennavo, la volontà degli attuali leader burkinabé di tornare all’ordine costituzionale sembrerebbe provata dall’accordo raggiunto con l’ECOWAS dopo il secondo colpo di Stato. Molti adempimenti sono in via di compimento, mentre altri ancora devono essere messi in cantiere. Ciò che è certo è che con la situazione drammatica che vive il Paese dal punto di vista della sicurezza, con più del 40 per cento del territorio non controllato dalle forze governative, lo svolgimento delle elezioni nel 2024 richiederà un impegno notevole affinché il processo elettorale sia trasparente ed inclusivo. Quanto all’impegno del Governo a “ridurre la povertà, creare posti di lavoro e migliorare l’istruzione”, ne condividiamo la centralità perché fra le cause profonde dell’instabiità e dell’insicurezza vi è proprio la mancanza di sviluppo, di prospettive di lavoro per i giovani burkinabé e la scarsa alfabetizzazione fuori dai centri urbani. Peraltro con la distruzione delle scuole da parte dei terroristi e le condizioni di vita di oltre due milioni di sfollati, la crisi alimentare e gli effetti dei cambiamenti climatici, questi obiettivi diventano ancora più urgenti.
Qual è lo stato della cooperazione in materia di sicurezza tra Burkina Faso e Unione Europea? Quali soluzioni si stanno attuando per contribuire a contrastare il terrorismo e l’instabilità nella regione del Sahel?
L’Unione europea rivolge la sua attenzione al Burkina Faso e più in generale all’intero Sahel per il forte senso di responsabilità e per una sincera forma di solidarietà verso coloro che si trovano ancora nelle fasi iniziali di un percorso di sviluppo economico e sociale che dovrà presto emancipare la popolazione dal bisogno. Bruxelles guarda al “Mediterraneo allargato” anche in chiave di tutela degli interessi europei. Un Sahel insicuro, instabile e povero non facilita la gestione di fenomeni come l’estremismo violento, la criminalità organizzata, i traffici illeciti di armi, droga, materiali inquinanti, e i traffici di esseri umani, con il conseguente triste fenomeno delle migrazioni irregolari. Per ridurre tutti questi fattori di rischio per l’Europa, l’UE sta elaborando anche per il Burkina Faso programmi di assistenza alle forze di sicurezza e difesa burkinabé. Si tratta di programmi che, come dicevo, al momento sono in stand by in quanto nel Paese é in corso un percorso di transizione per il ritorno all’ordine costituzionale. Quando esso sarà compiuto, permetterà ai programmi di ripartire.
Tenendo conto dell’instabile situazione del Sahel, dell’alto livello di disoccupazione nel Burkina Faso e della scarsa fiducia dei cittadini burkinabè nei confronti delle istituzioni democratiche, qual è stato l’impatto del programma EU4Sahel?
Tutti i programmi dell’Unione europea concordati con i partner locali per favorirne lo sviluppo ottengono dei risultati, la cui misurazione è inserita nei piani operativi dei programmi stessi. I risultati, a volte, possono non apparire evidenti, ma quando a me capita di visitare i progetti realizzati dalla UE – e ne ho visitati numerosi in Burkina Faso e in tutti i Paesi del Sahel – mi accorgo di come essi riescano a cambiare la vita di intere comunità creando prospettive in nome del principio di ownership. Il Burkina Faso ha una Società Civile dinamica che gioca un ruolo significativo in tal senso e che tiene dei rapporti strettissimi con le diaspore burkinabé all’estero che sono molto solide in Europa e hanno contribuito allo sviluppo anche dei Paesi europei.
Certo, il dibattito sull’efficacia degli investimenti stranieri per lo sviluppo parte spesso dalla constatazione della sproporzione fra le risorse finanziarie, umane e politiche che vengono destinate da decenni ai Paesi sub-sahariani e l’effettiva sostenibilità dei progetti nei paesi interessati perché gli interventi siano realmente trasformativi e sconfiggano povertà e mancanza di sviluppo. Diverse sono le considerazioni degli analisti al riguardo, e le proposte per migliorare il rapporto costo-beneficio dell’aiuto pubblico allo sviluppo, ma una cosa è certa: senza di esso la situazione sarebbe ancora peggiore. Siamo convinti che sia essenziale realizzare il nesso sicurezza-sviluppo per attuare gli obiettivi dell’Agenda 2030 e dell’Agenda 2063 per l’Africa. Gli interventi dell’UE incidono positivamente in questo percorso arduo ma possibile se si creano sinergie tra tutti gli attori.
In che modo la crescente influenza della Russia nella regione del Sahel può influenzare la cooperazione con l’Unione Europea con particolare riferimento anche al caso del Burkina Faso?
La Russia non è un partner nuovo per i Paesi del Sahel. Il processo di decolonizzazione degli anni ’60 ha visto spesso i Paesi sub-sahariani guardare all’allora Unione Sovietica come ad un partner che non doveva scontare l’eredità dell’esperienza coloniale. Con molto opportunismo politico (e direi anche facile retorica, con un uso improprio del concetto di pan-africanismo) Mosca ha offerto – fino alla caduta del comunismo – una cornice ideologica a molti leader africani che volevano accelerare e completare il distacco, anche culturale, dai Paesi colonizzatori. La parentesi della collaborazione fra la Russia e l’Occidente aveva fatto venire meno anche in Africa quella aperta contrapposizione di interessi fra Paesi appartenenti ai due blocchi. Contrapposizione che purtroppo la guerra russa di aggressione contro l’Ucraina ha riportato di attualità. L’Unione europea non deve pretendere di avere l’esclusiva dei rapporti con i Paesi del Sahel ma presta evidentemente molta attenzione a restare il primo partner di ogni Paese della regione, per evitare che la Russia in questo momento storico possa trovare spazi che non beneficiano la popolazione. Il Burkina Faso, a differenza del Mali, non sta facendo ricorso ai miliziani di Wagner per contrastare il terrorismo che dilaga ne Paese, quindi le condizioni per una collaborazione, anche nel settore della sicurezza e della difesa, possono ancora essere stabilite.
Il Governo Italiano sta portando numerose iniziative volte ad un maggiore dialogo con i partner africani, pensa che le soluzioni come il Piano Mattei possano essere utili per la stabilità politica ed economica dell’area?
L’Unione europea conta molto sulle sinergie che si possono conseguire lavorando insieme con tutti e ciascuno Stato membro. È quello che viene definito lo spirito del “team Europe”, che vede Bruxelles e le 27 capitali lavorare in maniera coordinata, anche nel Sahel, per massimizzare i risultati delle partnership con i Paesi della regione. Non conosciamo ancora i dettagli del Piano Mattei, e quali saranno le risorse nazionali che vi verranno destinate. Ma se l’Italia, come sembra, pianifica una intensificazione della sua azione con i Paesi del Maghreb, del Sahel e dell’Africa in generale, per favorirne la sicurezza, la stabilità e lo sviluppo, così facendo si inserisce perfettamente nel trend di rafforzamento del paetenariato Europa-Africa, sempre più intenso e in continuo sviluppo. Un partenariato che ambisce ad essere di mutuo beneficio per le due sponde del Mediterraneo, per i due continenti, i cui destini sono indissolubilmente legati perché interdipendenti e interconnessi.
La Wagner è stata accusata di essersi resa protagonista di stragi di civili nel territorio Azawad. Ci sono stati dei cambiamenti rispetto alle attività della Wagner nel territorio dopo la morte di Prigozhin?
Non che io sappia. Sotto la guida di Prigozhin, Wagner era un coacervo di società e di rapporti stabiliti in loco con interlocutori che di volta in volta decidevano di affidarsi a dei mercenari per la propria sicurezza e per un rafforzamento della lotta al terrorismo. Lo schema era di natura commerciale – protezione in cambio di risorse naturali, come l’oro per esempio – ma inserito in un progetto politico di destabilizzazione eterodiretto da Mosca, allo scopo di creare uno scontro geopolitico con l’Europa e gli Stati Uniti e di diffondere false informazioni per denigrare i partner occidentali. Con l’assoggettamento diretto di Wagner alle gerarchie governative russe, il modello non sembra cambiato e, purtroppo, continua a comportare un modus operandi sul terreno davvero devastante. Non solo non vengono rispettati i diritti umani e si fanno vittime innocenti mentre si lotta suppostamente contro il terrorismo, ma si alimenta anche una stigmatizzazione di intere comunità saheliane, accusate di essere quelle di origine dei terroristi. Si sta dunque alimentando una spirale di violenza che lascerà profondi segni per decenni, compromettendo la pacifica convivenza fra etnie diverse.
Quali sono le azioni messe in atto dall’UE in merito a tali accuse?
Se pensiamo al Mali, la risposta della UE è stata quella di affidarsi alle indagini indipendenti condotte dalla missione ONU Minusma per verificare tutti i casi in cui violazioni dei diritti umani sono state denunciate. In alcuni casi, sono emerse delle prove al riguardo, messe a disposizione delle autorità di Bamako affinché facciano anch’esse le verifiche del caso e perseguano i criminali. Intanto, però, tutte le forme di cooperazione nel settore militare con il Mali sono state sospese, proprio per evitare che attività di formazione, addestramento ed eventuali attrezzature UE possano beneficiare i mercenari di Wagner.