In questi giorni rimbalzano di nuovo le notizie sull’impegno preso ormai nel lontano 2014 al vertice NATO del Galles, di raggiungere la spesa del 2% del PIL per la difesa entro il 2024.
Da quel momento molta acqua è passata sotto i ponti e sarebbe utile fare un veloce riassunto di come sono andate le cose fino ad oggi.
Innanzitutto, grazie ad un’analisi estremamente superficiale e demagogica dei media mainstream, in Italia le discussioni su temi come difesa, sicurezza e politica internazionale si trasformano velocemente in pollaio dove esistono solo i due estremi e le posizioni mediane, ragionate e che portano dati e riflessioni scompaiono davanti ad articoli acchiappa click o ai talkshow politici dove vengono chiamati a urlare personaggi solo per fare share. Ma passiamo alle domande
Dal 2014 come è cambiato questo rapporto PIL/Difesa?
In realtà non molto. Dal 2014 al 2019 le variazioni sono state quasi inesistenti. Il vero punto di svolta c’è stato tra il 2019 e il 2020 con un aumento importante ma comunque lontano dal 2% e poi successivamente si è andati a scendere arrivando al valore di 1,46 %.

Fonte: Defence Expenditure of NATO Countries (2014-2023)
Il dato particolare è che fino al 2022 del 2% se ne è parlato poco nonostante l’aggressione russa nei confronti dell’Ucraina. Solo sotto elezioni si è ripreso a parlare del 2% e anche adesso, in vista delle elezioni europee riparte questo dibattito. Ma ci ritorneremo. Ora la seconda domanda da farci.
Ma perché l’Italia, paese fondatore della NATO, spendeva l’1,14%, una cifra di molto al di sotto del 2% e nessuno la rimproverava?
Perché se dal punto della spesa vera e propria era molto carente rispetto ad altri Stati, (solo 6 Stati percentualmente spendono di meno ed escludendo la Turchia sono tutti più piccoli) dal punto di vista dell’impegno per la sicurezza globale è sempre stata una delle più attive con la partecipazione a missioni internazionali e la collaborazione in altri campi.
Quindi gli altri Paesi che spendevano molto più di noi comunque riconoscevano il nostro contributo sotto altre forme, cosa che non accadeva con la Germania carente sia per la spesa sia per le altre contribuzioni.
Questo approccio, che possiamo definire all’italiana, ci permetteva di essere ascoltati e al tempo stesso di non dover investire risorse ingenti. In poche parole ci chiedevano di spendere di più, noi annuivamo sapendo già che l’obiettivo del 2% era qualcosa che forse avremmo raggiunto in decenni ma difficilmente nel 2024 ma comunque bastava la nostra rassicurazione sull’impegno.
Ora il 2024 è alle porte è c’è chi sta già lavorando per far credere che da qui ad un anno l’Italia metterà dai 10 a 12 miliardi in più nel bilancio della difesa. Tale dato in realtà è già smentito da documenti quale il DEF ma la legge di bilancio confermerà che l’obiettivo del 2% è lontano dal venire.
Inoltre anche se ci fossero questi soldi sarebbe impossibile spenderli perché i due terzi del bilancio della difesa è composto da stipendi, al contrario da quello che spesso si crede, ossia che quando si parla di spese per la difesa ci si riferisce a bombe o carri armati, quindi per spendere questi 10-12 miliardi o si fa un mega concorsone raddoppiando il numero dei militari (cosa impossibile perché la legge 244/2012 impone di ridurre il personale rispetto al numero attuale) oppure si comprano mezzi militari non avendo poi il personale per utilizzarli (senza considerare che un aereo non è una panda che te lo danno chiavi in mano ma ci sono piani ventennali di acquisizione).
Quindi cosa potrebbe accadere?
Nei prossimi anni la spesa per la difesa rimarrà all’incirca stazionaria, con degli aumenti dovuti all’niflazione e ad altri fattori come l’ausiliaria ma non tenderà drasticamente al 2%, non per motivi politici ma per motivi macroeconomici con buona pace di chi urla al riarmo dei guerrafondai. Quello che può accadere però è che alcune componenti politiche per cavalcare questa battaglia contro il 2% e raggranellare qualche voto possano mettere in difficoltà l’Italia nei tavoli europei ed atlantici.
Fino ad oggi ci chiedevano di rimanere fedeli all’impegno preso del 2% e a voce dicevamo di sì ma nei fatti abbiamo dimostrato poco il nostro impegno economico ma in fin dei conti questo atteggiamento ha scontentato poco all’estero. Le cose potrebbero cambiare se alcuni schieramenti dicessero chiaro e tondo che quella promessa, quell’impegno non lo vogliono mantenere perché un conto è non mantenerlo ma rassicurare come abbiamo fatto fino ad ora (e come noi molti altri Paesi) un conto e dire chiaramente di non volerlo onorare. Tali atteggiamenti, da chi poi ha preso l’impegno nel 2014 o ha fatto l’aumento maggiore negli investimenti nella difesa quando era al Governo, rappresenterebbero non solo demagogia spicciola ma una miopia politica preoccupante e una visione che non va oltre la punta del proprio naso.
In realtà si dovrebbe discutere apertamente e seriamente di una riforma vera dello strumento militare che abbassi l’età media delle FFAA più vecchie di Europa e che aumenti esponenzialmente il numero degli operativi riducendo la spesa in personale per aumentare quella per l’operatività ma di questo ne parleremo un’altra volta.
P.S. Nota metodologica
Quando si parla di spese per la difesa vige molta confusione, infatti i dati riportati emergono dal metodo di calcolo standardizzato della NATO e differiscono dalle spese che l’Italia afferisce genericamente alla Difesa. In realtà le cifre non si differenziano molto ma variano le voci che le compongono. Per esempio nel grafico seguente possiamo trovare voci in ambito NATO che in ambito nazionale sono ricomprese sotto una delle 3 macrovoci della spesa per la Difesa che sono personale, esercizio e investimenti.
