La condanna al giovane studente poteva essere fatale per le proficue relazioni tra Roma e Il Cairo, proprio per questo una soluzione doveva esserci.
La diplomazia c’è anche quando non si vede. È questo l’insegnamento che ci lascia la tormentata storia, terminata con il lieto fine, di Patrick Zaki. Il ragazzo fu arrestato nel febbraio del 2020, quando frequentava un master all’Università di Bologna, a causa di alcuni post su Facebook che secondo il governo egiziano incitavano alla sovversione. Ha trascorso un anno e dieci mesi in carcere in condizioni degradanti e subendo diversi atti di tortura. La detenzione fu sospesa nel dicembre 2021, Zaki ha quindi riacquistato la libertà, ma il processo è andato avanti fino a due giorni fa, il 18 luglio, con la condanna a tre anni (uno solo più due mesi da scontare). Quando il destino del giovane studente sembrava ormai segnato ecco il colpo di scena: la grazia concessa dal presidente Al-Sisi.
Qualcuno sarà rimasto stupido dal fatto che un regime dittatoriale, in cui è assente lo Stato di diritto e dove vengono costantemente calpestati i diritti umani sia potuto arrivare a graziare quello che viene considerato un pericoloso sovversivo. In effetti una spiegazione non c’è se non si considera il lavoro svolto dal governo italiano nel suo complesso, dalla Farnesina e dai servizi segreti. Le relazioni tra Italia ed Egitto sono troppo importanti per essere compromesse. Eppure negli ultimi sette anni la rottura è stata spesso sfiorata, non solo con il caso Zaki, ma soprattutto con la tragica morte, avvolta ancora oggi nel mistero, di Giulio Regeni. L’Italia e la famiglia del ricercatore non hanno mai scoperto la verità in tanti anni di silenzi e omissioni. Se il rapporto tra Roma e Il Cairo ha traballato ma è sopravvissuto a quella storia, la condanna di Zaki poteva davvero rompere ogni equilibrio. Serviva allora una soluzione, in grado di fare tutti contenti e così è stato. L’Egitto ha inflitto tre anni di carcere un soggetto che ha messo in dubbio la legittimità del regime dimostrando che la sua legge non può essere infranta; Al-Sisi nel contempo si è mostrato magnanimo davanti alla platea internazionale; l’Italia si è fatta rispettare e il governo Meloni ha ottenuto un successo non da poco sul fronte interno; infine, cosa più importante, Zaki ha evitato il carcere.
Una situazione di win-win figlia del lavoro sotto traccia della diplomazia. E sebbene Giulio Regeni non possa essere dimenticato (e l’augurio per il futuro è che possa esserci una svolta, anche se è sempre più improbabile), le relazioni tra Italia ed Egitto vanno avanti. Roma è il primo partner commerciale degli egiziani in Europa e il terzo in tutto il mondo, alle spalle solo dei due colossi Usa e Cina. Il Cairo invece è un player cruciale per lo scenario Mediorientale e soprattutto per quello Nordafricano, Libia in testa. Inoltre, davanti alle coste egiziane nel 2015 l’Eni ha scoperto il giacimento di Zhor, il più grande del Mediterraneo. Tutti fattori troppo grandi per passare in secondo piano, soprattutto perché gli Stati, si sa, pensano solo ai loro interessi, per il resto c’è (quasi) sempre una soluzione diplomatica.