Il nostro Paese continua ad ignorare le energie rinnovabili e lo sviluppo di forme sicure di nucleare per puntare sui combustibili fossili di Stati autocratici.
La guerra in Ucraina ha messo in luce la dipendenza energetica quasi totale dell’Italia nei confronti della Russia. Di fatto, senza il gas e il petrolio russo, per tutta la penisola le lancette tornerebbero indietro di almeno settanta o ottant’anni, sia per quanto riguarda la produzione industriale che per quanto concerne le condizioni di vita della popolazione. Se quindi il conflitto scoppiato lo scorso febbraio ha fatto venire a galla tutti i problemi strategici connessi all’essere legati mani e piedi ad un altro Stato, per di più fortemente autocratico, al tempo stesso quello che emerge è che in Italia c’è un forte deficit nell’utilizzo di fonti rinnovabili ed in generale di energie alternative rispetto ai combustibili fossili.
Nel nostro Paese il peso dell’energia idroelettrica, solare, eolica e geotermica continua ad essere abbastanza risibile: nel 2019 solo poco più del 16% del fabbisogno nazionale era coperto da queste fonti. Un dato in realtà superiore ad altri grandi Stati europei come Francia e Regno Unito, che però non sono dipendenti dal gas e dal petrolio russo nella misura in cui lo è l’Italia. Tra l’altro nel nostro Paese c’è sempre stata una certa sfiducia verso le rinnovabili, considerato che fino al 2007 solo il 6% della produzione nazionale veniva da questo tipo di energie. Inoltre, lo sviluppo di queste fonti è sempre stato effettuato a macchia di leopardo. L’idroelettrico, ovvero la rinnovabile più diffusa sul suolo italiano, di fatto viene utilizzata per la stragrande maggioranza nel nord Italia. Sintomo della mancanza di un’idea di sviluppo uniforme da parte delle classi dirigenti e della mancanza di una strategia energetica lungimirante.
Un piccolo boom nella crescita dell’uso delle energie rinnovabili è stato registrato tra il 2010 e il 2014, quando il dato ha cominciato ad arrivare circa al 18%. Si è trattato però solo di una parentesi, visto che da quel momento in poi i numeri sono andati a calare. Secondo alcune ricerche di Legambiente, se l’Italia avesse continuato ad affidarsi alle fonti rinnovabili con lo stesso ritmo di quel quadriennio anche negli anni successivi, allora sarebbe già stata in grado di sganciarsi nei confronti di una grossa fetta del gas russo. Invece, i vari governi che si sono succeduti negli ultimi otto-dieci anni hanno paradossalmente scelto di aumentare il loro legame con Mosca, a discapito di una transizione energetica che servirebbe come il pane non solo sul piano geopolitico, non solo nell’ottica di una modernizzazione del Paese, ma anche e soprattutto per tentare di ridurre l’impatto ambientale.
Un’alternativa alle fonti rinnovabili è il nucleare. Nel 2011 un referendum abrogativo ha bocciato la possibilità che l’Italia potesse scegliere questa via per il suo approvvigionamento energetico e una delle ragioni di quel voto fu la supposta pericolosità degli impianti nucleari. Tuttavia, negli ultimi anni sta prendendo sempre più piede una nuova tecnologia, che tra le altre cose è anche più sicura, ovvero i microreattori. Il primo vantaggio, rispetto ai classici reattori nucleari, sono le piccole dimensioni. Un reattore più piccolo comporta anche una spesa minore, oltre ad essere più facile da costruire, sia a livello logistico che per quanto riguarda le tempistiche. Al punto che può bastare anche una sola settimana per realizzarli. Tra l’altro, i microreattori possono essere costruiti sottoterra, diventando di fatto invisibili ed evitando di deturpare il paesaggio. Sono due però gli elementi in particolare che raccontano la convenienza di questa tecnologia. Innanzitutto, l’impatto sull’ambiente è molto scarso. In secondo luogo, questi reattori sono autonomi, non hanno bisogno di assistenza manuale. Una caratteristica che è garanzia di maggiore sicurezza.
L’uso ideale dei microreattori è a livello municipale e con industrie che devono coprire un fabbisogno di energia ridotto. Le grandi industrie invece hanno bisogno di grandi reattori. Però se fossero implementati sulla rete nazionale, i microreattori potrebbero sopperire a molte esigenze locali. Si tratta di una realtà relativamente nuova, che ha preso piede negli Stati Uniti e si sta piano piano diffondendo anche in Europa. In Italia però scontiamo la solita miopia delle nostre classi dirigenti. Infatti, anche se il progetto sta timidamente prendendo piede a livello di opinione pubblica e soprattutto per quanto riguarda i tecnici del settore energetico, sul piano politico il dibattito è inesistente. Mentre ignora le fonti rinnovabili e le possibilità legate ai microreattori, la classe politica italiana sceglie quindi di lasciare il destino del Paese in mano agli eventi che accadono in Stati come la Russia, l’Algeria e il Congo.