Roma non potrà mai essere davvero indipendente senza autonomia energetica. Ecco tutti gli errori commessi dall’Italia nell’ultimo decennio.

Ormai da quasi due mesi l’Europa ha riscoperto cosa vuol dire la parola “guerra”. Se da un lato il primo effetto del conflitto in Ucraina è stato quello di riportare l’intero continente ai tempi della cortina di ferro, con il passare delle settimane è venuto a galla un segreto non proprio oscuro: molti paesi occidentali dipendono di fatto dalla Russia in campo energetico, soprattutto per quanto riguarda l’approvvigionamento del gas. In particolare, se le forniture di Mosca dovessero interrompersi, Italia e Germania rischierebbero di fatto di restare senza gas, un dramma che stravolgerebbe il tessuto economico, oltre che la vita quotidiana di milioni di persone, di due potenze del G7.
L’Onorevole Tatiana Basilio, Presidente del Centro Studi Laran, ha affermato: “Basti pensare quale sarebbe l’impatto sul Pil italiano se le industrie lombarde, vera locomotiva dell’economia della penisola, dovessero incominciare a dover razionare le scorte di gas. La mia provincia, non di nascita, ma di adozione, fino a prima della pandemia di Covid-19, iniziata nel marzo 2020, era la più produttiva d’Europa. In Val Trompia e non solo, vantiamo la maggior parte della produzione in ambito bellico leggero, dalla Beretta, alla Renato Gamba e molte altre aziende che non citerò poiché sono tante. Nonché centinaia di Pmi che tengono alto il nome del nostro Paese nel mondo; dalla produzione e alla lavorazione dell’acciaio, sarebbero davvero messe a dura prova per il taglio improvviso dell’approvvigionamento del gas distribuito dalla Russia”.
Inoltre, la condizione di dipendenza in cui si trovano i due Paesi, ha costituito un freno alle sanzioni per l’Ue nei confronti della Russia, poiché Roma e Berlino non possono permettersi di imporre ai russi un embargo sul gas. Siccome gli idrocarburi sono il perno dell’economia russa, fino a quando le sanzioni non colpiranno questo settore Putin potrà, tutto sommato, dormire sonni tranquilli e continuare la guerra. Questa situazione in Germania ha immediatamente innescato numerose polemiche in seno all’opinione pubblica e ha fatto capire ai leader tedeschi che era il momento di cambiare strategia in fatto di politica energetica, anche a costo di rinnegare l’operato dell’ex cancelliera tedesca Angela Merkel, principale sponsor del Nord-Stream 2.
In Italia invece, anche se cresce la paura che Putin possa chiudere i rubinetti, il dibattito stenta a decollare e soprattutto non viene indirizzato sui binari giusti. Fino ad ora la principale contromisura presa dal governo Draghi è stata quella di recarsi in Algeria, insieme al ministro degli esteri Di Maio, al ministro per la transizione ecologica Cingolani e all’amministratore delegato dell’Eni Descalzi, per sottoscrivere un accordo con la Sonatrach per aumentare le forniture di gas algerino. In questo modo però il problema non viene assolutamente risolto. Invece di essere sotto scacco di Mosca, cosa che comunque continuerà ad accadere, l’Italia rischia di avere una pistola puntata alla tempia da parte di Algeri.

“Il nostro Paese in questo ultimo ventennio non ha accennato a pensare e a ponderare di mettere in atto un piano B in ambito di produzione propria energetica -spiega la presidente del Centro Studi Laran -, il famoso KM0. Il risultato è che con la globalizzazione e con la totale dipendenza, ben il 98% dell’importazione di gas e non solo, ci troviamo a produrre energia nel 2022 ancora con le centrali elettriche alimentate dal petrolio, senza pensare a tutta l’energia che viene richiesta in estate per il condizionamento da raffreddamento di condizionatori. Siamo il Paese del vento e del sole, nessuno ha mai dato importanza a una indipendenza energetica. Essa ci darebbe un peso differente sui tavoli delle trattative politiche estere. Invece, per come ci siamo posti in tutti questi decenni, adottando la politica dei mancati investimenti in ambito di ricerca e sviluppo, ci siamo ritrovati ad essere un paese debole e completamente dipendente da quello che è l’approvvigionamento dall’estero. Non vi è mai stata lungimiranza in tal senso, ma il nostro Paese, purtroppo scarseggia in ambito programmazione e pianificazione anche militare, figuriamoci in ambito energetico. Il prezzo da pagare sarà molto alto, poiché la pezza, a volte risulta essere peggiore del buco”.
I legami energetici con l’Algeria non costituiscono una novità, anzi. Già prima dello scoppio della guerra il paese nordafricano forniva il 27% circa del fabbisogno di gas italiano, ovviamente dietro la Russia, che copriva invece addirittura il 38%. Gli altri due partner del nostro paese sono Qatar e Azerbaigian, che contribuiscono per un 10% a testa, con Baku che ha visto crescere le sue esportazioni con la costruzione del Trans Adriatic Pipeline (Tap), gasdotto che arriva in Puglia. Ciò che però stupisce, guardando i dati della politica energetica italiana degli ultimi dieci anni, è che l’asservimento energetico nei confronti di Mosca è cresciuto sempre di più, in particolare proprio dopo l’annessione della Crimea del 2014. Prima del 2013 la dipendenza di Roma dal gas russo si aggirava tra il 25 e il 35% delle forniture, toccando addirittura il 20% nel 2010. Negli ultimi otto anni però la crescita è stata costante, toccando addirittura il 43% nel 2020. “Questi dati – prosegue l’onorevole Basilio – ci fanno comprendere come in tutti questi anni si sia premiata la politica più semplicistica del: Apri il rubinetto del gas ed io faccio il bonifico. Ovviamente non è vincente e nemmeno premiante a lungo termine. Anzi, ci ha ulteriormente indeboliti, soprattutto in ambito di posizionamento sulla scacchiera dei giochi geo politici internazionali”.
A quanto ammonta invece la produzione nazionale di gas? L’Italia produce in autonomia solo il 6% del suo fabbisogno, una vera miseria. Se la penisola fosse priva di potenzialità, ci sarebbe poco da recriminare. Tuttavia, nel nord dell’Adriatico ci sono numerosi giacimenti di gas, che però non possono essere sfruttati. Una legge del 2008 infatti impedisce l’estrazione in quelle aree per evitare il fenomeno della subsidenza, ovvero l’affossamento dell’abbassamento del sottosuolo marino. Nel caso in cui la legge dovesse essere abrogata, l’utilizzo di questi giacimenti porterebbe l’Italia a produrre autonomamente il 14% del suo fabbisogno di gas. Un risultato che non risolverebbe tutti i problemi, ma consentirebbe comunque di diminuire la dipendenza dall’estero.
“E’ vero che questo fenomeno creerebbe delle problematiche sicuramente gravi nel nostro mare Adriatico – spiega l’onorevole Basilio -, i quali problemi non si limiterebbero al fenomeno della subsidenza, ma anche a diverse complicanze alla fauna marina, come da recenti studi sul fenomeno delle estrazioni sottomarine, ma in caso di emergenza sono convinta che sia il caso che ci si metta una mano sulla coscienza per tamponare fintanto che non si trovi una strategia che possa essere risolutiva e meno invasiva possibile per l’ambiente che ci circonda, come accade per le estrazioni petrolifere. Per decenni coloro che venivano etichettati in maniera dispregiativa come ‘ambientalisti’, sono stati derisi e scherniti, mentre stavano già sollecitando l’adozione di politiche energetiche più sostenibili e autonome per ridurre l’inquinamento ambientale, vero, ma se la politica avesse ascoltato e non avesse fatto orecchie da mercante, a quest’ora non saremmo dipendenti sia dalla Russia che dall’Algeria e avremmo investito i fondi del bilancio del Mise per creare ricerca e sviluppo, ossia innovazione nel nostro Paese, ma soprattutto indipendenza. Ora siamo in balia del miglior offerente, il quale non si sa mai che se ci potrà dare stabilità energetica o chiuderci i rubinetti da un momento all’altro. Genericamente dagli errori del passato si dovrebbe imparare, quindi auspico che la politica odierna, che si trova dinanzi alla più grande opportunità di cambiamento della storia, possa cogliere e affidare il compito alle aziende italiane, tipo Eni ed Enel, per imbastire un piano energetico nazionale, utilizzando anche i fondi del Pnrr. Da una tragedia dovremmo sempre trovare il lato positivo della situazione”. Risulta quindi incredibile come l’Italia (e la Germania) abbiano deciso di legarsi sempre di più ad un paese che di fatto poteva entrare in guerra da un momento all’altro, come poi ha effettivamente fatto. In generale, sia Roma che Berlino dimostrano di essere delle tigri di carta, perché fino a quando non riusciranno ad avere una piena autonomia in ambito energetico saranno sempre indirettamente esposte ai ricatti dei paesi fornitori e quindi inevitabilmente fragili sull’arena internazionale.