Dal settore energetico a quello alimentare: le sanzioni alla Russia rischiano di innescare una crisi globale.
Di fronte all’invasione russa dell’Ucraina i paesi occidentali hanno avuto fino ad ora una sola carta da giocare: le sanzioni. L’alternativa, ovvero l’uso della forza, porterebbe alla Terza Guerra Mondiale, come ha ammesso lo stesso Biden durante primi giorni del conflitto. Sebbene non siano di nessun aiuto diretto all’esercito e ai civili sul territorio ucraino, le sanzioni sono comunque un’arma (economica) molto potente. Con ogni probabilità avranno l’effetto di riportare, nel giro di alcuni mesi, la Russia indietro di trent’anni, quando, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, il Pil era in caduta libera e la disoccupazione galoppava. Al tempo stesso però, nell’era della globalizzazione, dove i paesi sono interdipendenti sul piano economico, ci può essere un effetto boomerang, soprattutto per l’Europa, ma non solo.
Gli effetti sulla Russia
Le prime tranche di sanzioni sono state mirate a colpire la Russia sul piano finanziario e commerciale. Il colpo più grosso è stato l’esclusione delle principali banche russe dallo Swift, il sistema che permette di effettuare le transazioni finanziarie a livello globale. Se da un lato Mosca potrebbe aggirare l’ostacolo legandosi al sistema di pagamenti cinese, dall’altro le banche, e quindi anche le imprese russe, sono di fatto tagliate fuori dai mercati globali. In più, a causa delle sanzioni, la Russia non potrà attingere alle riserve in valuta estera per ripagare il suo debito pubblico e quindi sarà costretta ad utilizzare il rublo, che però in questo contesto si è rapidamente svalutato: uno scenario che evoca lo spettro del default, come accadde nel 1998.
L’Europa compatta e divisa
Mentre la linea di Washington e Londra è sempre stata chiara, nei primissimi giorni dopo lo scoppio della guerra alcuni paesi europei, in primis Germania e Italia (l’interscambio commerciale tra Roma e Mosca ammonta a 20 miliardi), non erano favorevoli a sanzionare i russi. Poi, a causa dell’aumento della violenza in Ucraina, tutta l’Ue si è compattata. Ma nel complesso la frattura è rimasta, con gli Stati del nord e dell’est Europa (ad eccezione dell’Ungheria) che vorrebbero colpire più duramente la Russia e i paesi del sud che invece hanno tracciato delle linee rosse, ovvero non mettere sanzioni sul settore energetico. Sebbene Berlino abbia rinunciato al Nord Stream 2, resta comunque completamente dipendente dal gas russo. Una situazione in cui si trova anche l’Italia: basti pensare che nel 2020 il 43% del gas importato nel nostro paese proveniva dalla Russia.
La partita energetica
Putin sa di poter far leva sulle fragilità energetiche europee e perciò ha minacciato di consentire il pagamento del gas solo in rubli, in modo tale da costringere i paesi Ue a consegnare euro alla Banca Centrale russa in cambio di rubli. Una mossa per certi versi disperata, ma che può creare problemi soprattutto all’Italia. Tuttavia non è l’unico elemento che minaccia la stabilità energetica internazionale. Se le sanzioni sul gas avrebbero degli effetti negativi su Berlino e Roma, quelle sul petrolio magari sarebbero meno incisive sui paesi europei, ma potrebbero comunque innescare una crisi globale. Infatti il prezzo dell’olio nero, che è già salito a 3 dollari al barile, in caso di un embargo dell’Unione Europea subirebbe uno shock tale dal lato dell’offerta che lo farebbe schizzare alle stelle.
In realtà i prezzi del petrolio erano già in netta crescita. Dopo che durante il lockdown del 2020 la crisi di domanda (e le conseguenze della ‘guerra’ tra i paesi produttori) aveva portato addirittura ad un prezzo negativo, la ripresa post-pandemia aveva portato ad un’impennata. Con la Russia fuori dai mercati però la situazione diventerebbe ancora più complicata. Negli ultimi giorni i paesi occidentali stanno cercando di convincere i principali membri dell’OPEC ad aumentare la produzione in modo da sopperire alle quote di petrolio russo. Ad esempio, il primo ministro britannico Boris Johnson ha incontrato l’uomo forte degli Emirati Arabi, Mohammed Bin Zayed. Fino ad ora però le monarchie del Golfo non hanno accolto l’invito.
Pochi giorni fa gli Houthi, la milizia filo-iraniana che combatte contro l’Arabia Saudita nella guerra civile in Yemen, ha danneggiato una raffineria di Aramco, la compagnia energetica di Riad. I sauditi hanno annunciato che questo creerà dei problemi sulla loro capacità di aumentare la produzione, ma si tratta solo di una scusa. Il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman trae un doppio beneficio dall’impennata dei prezzi: innanzitutto, molto banalmente, aumenta i suoi profitti; in secondo luogo rafforza l’alleanza con Putin. Dal 2015 la Russia si è associata ai paesi OPEC, formando così il cartello OPEC Plus, un’asse che permette a tutti i maggiori produttori di greggio al mondo di salvaguardare i reciproci interessi.
La paura di una crisi alimentare
Infine, l’ultimo pesante contraccolpo legate alle sanzioni alla Russa, ed in generale alla guerra in Ucraina, riguardano il grano. Mosca e Kiev sono da sempre i principali produttori di grano del mondo. La produzione ucraina è inevitabilmente compromessa; quella russa invece è in pericolo sia per la difficoltà dell’export attraverso il Mar Nero che per la volontà di Mosca di imporre delle contro-sanzioni all’occidente. A causa della situazione generale però sono i paesi africani a rischiare di pagare il conto più grosso. L’Egitto, ad esempio, importa l’85% del suo fabbisogno di grano da Ucraina e Russia. Secondo alcune stime, restano solo nove mesi prima che Il Cairo esaurisca le sue riserve. Il presidente francese Macron ha detto che entro il prossimo anno c’è il rischio di una crisi alimentare globale spaventosa. L’ennesima variabile impazzita di una guerra destinata a cambiare la vita di milioni di persone.