La Nato è pronta per la guerra, ma non mancano le contraddizioni

Mar 17 2022
Vincenzo Battaglia
Dal Mar Baltico ai paesi dell’Europa occidentale, passando dalla Turchia: ecco come la Nato si prepara ad un’eventuale guerra con la Russia.
Un SU-27_Flanker russo scortato da un Typhoon nei cieli del Baltico.
Un SU-27_Flanker russo scortato da un Typhoon nei cieli del Baltico.

È difficile prevedere quali saranno i risvolti della guerra in Ucraina, capire dove si fermerà l’avanzata dell’esercito russo e se le ambizioni di Putin si spingeranno fino alla Transnistria. L’unico punto fermo di questo conflitto sembrerebbe essere, al momento, la volontà dei paesi Nato di non intervenire. Anche perché, è sempre bene ricordarlo, formalmente si tratta di un’alleanza difensiva che, sulla base dell’articolo 5 del suo Statuto, viene attivata solo nel caso in cui uno dei paesi membri subisca un attacco. Il problema dell’intervento automatico della Nato non si pone dunque nemmeno nel caso di un eventuale invasione della Moldova o della Georgia (altro paese che si sente minacciato da Mosca), così com’è stato per l’Ucraina. Diversa però è la situazione di Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia, il cosiddetto fianco destro dell’Alleanza Atlantica.

Le forze Nato nei paesi Baltici

Sebbene l’ipotesi sia improbabile, soprattutto nel breve periodo, non è escluso che un domani la proiezione imperiale di Mosca si estenda su paesi che in passato facevano parte dell’Unione Sovietica o comunque del Patto di Varsavia. Un pericolo che i vertici militari della Nato hanno messo in conto fin dai primi anni dopo le proteste che in Ucraina portarono alla defenestrazione del presidente filo-russo Yanukovich, innescando l’annessione da parte della Russia della Crimea e lo scoppio della guerra civile nel Donbass. Con il summit di Varsavia del 2016, la Nato decise di costituire quattro gruppi tattici di stanza rispettivamente sul territorio estone, lettone, lituano e polacco composti da più di 4.000 uomini.

A Tapa, in Estonia, ci sono 830 truppe sotto il comando britannico. Un battaglione di fanteria corazzata dotato di artiglieria, carri armati e sistemi di difesa aerea. In Lettonia, ad Adazi, le truppe ammontano a 1.525 uomini di dieci nazioni diverse, Italia compresa; mentre in Lituania, a Rukla, i militari sono 1.249, metà dei quali di nazionalità tedesca. Infine a Orzysz, in Polonia, il battaglione, dotato di difesa antiaerea, è composto da 1.010 uomini, più della metà dei quali sono statunitensi.

A questo dispiegamento di truppe, bisogna aggiungere il pattugliamento aereo svolto dalla Nato sui cieli dei paesi baltici, che è passato in pochi giorni dallo scortare i jet russi, alla difesa attiva dello spazio aereo alleato. Un incrementato di forze aeree avvenuto negli ultimi giorni anche su Polonia, Romania e Bulgaria. Infine, è cresciuto il dispiegamento delle le difese Nato per quel che riguarda il Mar Baltico, delle acque cruciali, visto che la Russia in quell’area ha un trampolino strategico come l’Oblast di Kaliningrad, sede della flotta russa. Estonia, Lettonia e Lituania, in particolare, hanno aumentato le mine sottomarine per proteggere le loro acque territoriali, mentre la Danimarca ha messo a disposizione tre fregate classe Iver Huitfeldt e la Germania ha in programma di aggiungere un secondo lotto di cinque corvette di classe Braunschweig.

Un incontro tra il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e il suo omologo russo Vladimir Putin.
Un incontro tra il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e il suo omologo russo Vladimir Putin.
La posizione della Turchia

Un attore che sta giocando un ruolo determinante in questa crisi è Ankara, un paese che fa parte della Nato, ma che spesso e volentieri ha comportamenti ambigui. Il rapporto tra Putin ed Erdogan è sempre stato molto intenso. Nonostante Russia e Turchia abbiano interessi strategici molto diversi, il pragmatismo dei due presidenti ha consentito di trovare spesso dei compromessi, perfino in teatri dove le divergenze sono conclamate, come la Siria e la Libia.

In ogni caso, la posizione della Turchia nella crisi ucraina è ben definita: Erdogan teme che questa guerra possa squilibrare i rapporti di forza nel Mar Nero in favore di Mosca, per cui sostiene apertamente Kiev. Al punto che, già a partire dal 2019, ha fornito all’Ucraina i droni Bayraktar (che già avevano aiutato l’Azerbaigian durante il conflitto nel Nagorno-Karabakh dell’autunno del 2020), che nei primi giorni di combattimento si sono rivelati decisivi per la difesa dei cieli ucraini. Del resto, le rivendicazioni turche nel Mar Nero non sono solo strategiche, ma anche storiche, visto che i tatari di Crimea rientrano nei progetti pan-turchi di Erdogan, ed infatti Ankara non ha mai riconosciuto l’annessione della penisola da parte della Russia.

In realtà, proprio per quanto detto finora, la Turchia costituisce il perfetto mediatore tra Mosca e Kiev, ma nessuno scenario va scartato a priori. Se l’applicazione della Convenzione di Montreaux sulla chiusura del Bosforo e dei Dardanelli con lo scoppio della guerra è stata una mossa dovuta e nel complesso priva di effetti sulla flotta russa, che si trovava già nel Mar Nero per delle esercitazioni, in questo contesto è la forza militare turca ad essere davvero decisiva: in caso di un attacco di Mosca ad uno dei paesi orientali della Nato, Ankara in quanto membro dell’alleanza sarebbe obbligata a rispondere. E l’esercito turco è il più numeroso dell’intera Nato dopo quello americano, mentre la base aerea di Incirlik potrebbe costituire una testa di ponte sul territorio russo.

L’Europa occidentale e il quadro generale

La maggior parte degli altri paesi europei membri dell’alleanza atlantica per ora si sono limitati ad inviare armi agli ucraini. Il ricorso alla no-fly zone, un atto che probabilmente porterebbe al superamento di una linea rossa verso la terza guerra mondiale, è stato per ora escluso in ogni modo. Resta però da capire quale potrebbe essere la reale capacità di risposta dei paesi dell’Europa occidentale ad un’eventuale minaccia russa. Una questione chiave, sollevata in passato dall’amministrazione Trump, è legata ai livelli della spesa militare di Francia, Italia e Germania, che nel 2020 sono stati abbondantemente lontani dal 3% del Pil. Il fanalino di coda è Berlino, ferma all’1,4%, e non è un caso che il cancelliere tedesco Scholz abbia annunciato che la spesa per la difesa crescerà fino al 2%.

Al di là delle capacità dei singoli paesi europei, in termini puramente numerici, complessivamente la Nato resta superiore rispetto alla Russia in quanto a uomini a disposizione e di armamenti di terra, aerei e navali. Ovviamente a sbilanciare i rapporti di forza è l’apporto degli Stati Uniti, che tra l’altro, è sempre bene ricordarlo, hanno moltissime basi dislocate in tutti i paesi Nato, a cominciare dall’Italia. In ogni caso, un conflitto convenzionale tra la Nato e la Russia resta un’ipotesi remota per lo stesso motivo per cui non ci fu mai uno scontro aperto tra Washington e Mosca negli anni della Guerra Fredda: la minaccia atomica costituisce un’efficace forma di deterrenza. A meno che, ovviamente, una delle due forze in campo non decida di oltrepassare questa linea rossa che avrebbe effetti incalcolabili per l’umanità.

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz.
Il cancelliere tedesco Olaf Scholz.

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