L’Europa deve ripensare il proprio futuro e cominciare a correre se vuole recuperare il ritardo accumulato in campo tecnologico rispetto ai competitor mondiali, sia in campo hardware che software e ingegneristico. La sfida non è delle più semplici.
Ogni singolo settore produttivo – dall’automotive all’alimentare – è ormai così dipendente da sistemi elettronici e software che si è raggiunti un punto di non ritorno: o l’Europa si assume la responsabilità di investire per colmare il gap con i nostri più diretti concorrenti (USA e Cina) o siamo destinati alla dipendenza perenne.
Ma come mai ci ritroviamo in queste condizioni? Ovvero consapevoli di essere totalmente dipendenti da altre nazioni non solo per la nostra capacità nell’ambito cibernetico e di difesa, ma anche ormai in tutti i settori produttivi?
Come siamo arrivati a questo punto
Il tema della autonomia strategica da parte dell’Europa è tornato al centro del dibattito nelle ultime settimane, in particolare dopo l’uscita da parte delle forze NATO ed UE dall’Afghanistan.
Ad oggi, a mio modo di vedere per una visione miope, figlia delle politiche successive al crollo del muro di Berlino, si è visto il mondo con gli occhi della “buona globalizzazione”: abbiamo perciò demandato ad altri la produzione di componenti (e non solo, il Covid ce lo ha dimostrato con le meno tecnologiche mascherine chirurgiche) a paesi in via di industrializzazione/sviluppo che ora hanno un gap capacitivo, per esempio, nello sviluppo dei processori che ci batte di un ordine di grandezza solo nella stampa litografica degli stessi.
Questo ha comportato, negli anni novanta del secolo scorso, nel mondo aeronautico della difesa (ma con riverberi evidenti nel mondo cyber), di aver rinunciato allo sviluppo di un aereo di V generazione come l’F-35: lo sbaglio più grande dei paesi europei è aver ignorato la possibilità di implementare un progetto analogo che ha comportato una sempre maggiore dipendenza da componentistica americana per mantenere un elevato livello qualitativo dei prodotti con un basso impegno ingegneristico nazionale ed europeo.
Il gap non è solo da un punto di vista dell’hardware (processori e semi conduttori) ma anche da un punto di vista ingegneristico di sviluppo di software (vedasi sempre in riferimento al F-35: il codice che sottostà non solo al sistema di volo, ma a quello di verniciatura a quello di offuscamento dai radar e infine alla parte manutentiva di ALIS).
Un gap lungo 25 anni. Indietro non solo nell’hardware
Il gap da colmare è amplissimo: supera i 25 anni! il progetto F-35 nasce nel 1996 e vede la fase di prima implementazione dei software e dei sistemi di simulazione, affiancati alla produzione, nel 2009.
Questo significa che l’Europa e la sua industria della difesa ha un divario capacitivo ed ingegneristico di almeno 20 anni!
La preoccupazione che deve stimolare alla riflessione non è solo relativa all’hardware, come scrivevo, ma soprattutto da un punto di vista di progettazione: dei software, dei sistemi e della sicurezza che dovrà essere nativa nei nuovi progetti. Anche perché i tre cardini (hardware/software/sicurezza) sono interdipendenti: non si può avere un processore europeo senza avere un ingegnere che vi sviluppi sopra applicazioni che siano nativamente sicure (nel linguaggio eventualmente disegnato per quel tipo di hardware).
La domanda più semplice che mi viene da porre (quasi in maniera retorica): quale università tra le varie nazioni europee è capace di “sfornare” ingegneri capaci di sviluppare tecnologia al pari di quella dell’F-35? Intendo dire: chi è capace di sviluppare un sistema di comunicazione a banda larga tra gli aerei come sull’F-35. Chi è capace di sviluppare radar o camere così raffinate?
L’aver sottovalutato questo aspetti alla fine degli anni ‘90 ci porta oggi a non essere capaci di sviluppare sistemi di quel livello di tecnologia. L’aver utilizzato strumenti e sistemi USA da un lato ha portato un vantaggio competitivo robusto all’industria europea, in particolare tedesca ed italiana dall’altro ci ha resi strutturalmente dipendenti; per contro l’industria francese, senza riuscirci totalmente è più affrancata dalla dipendenza dalla componentistica americana. Ma anche la grandeur non può dirsi totalmente autonoma.
La dipendenza dagli USA è dovuta alle norme interne che regolano le esportazioni degli armamenti e dei sistemi ad alto contenuto tecnologico e che comportano un vaglio parlamentare, per una sorta di tutela di sicurezza ma anche di protezionismo industriale. E questo approccio non è arrivato negli ultimi anni con Trump, ma è alla base del sistema industriale e di esportazione del mondo tecnologico statunitense.
I fattori da considerare per ripensare il futuro
È quindi importante ripensare a come l’Europa affronterà il proprio futuro da un punto di vista di autonomia negli ambiti tecnologici? Indubbiamente si, ma dovendo fare attenzione a questi fattori:
• L’impegno finanziario deve superare i 100 miliardi nei prossimi 5 anni e finalizzato alla aggregazione in forma competitiva delle realtà industriali europee per puntare a pochi ma chiari indirizzi strategici legati al colmare il divario tecnologico esistente;
• A definire regole di esportazione a livello europeo al fine di evitare gli atteggiamenti autarchici che già sono presenti in nazioni come la Francia (che ha spesso regole più stringenti degli americani per l’esportazione di tecnologia a paesi extra-UE).
• A definire obbiettivi per le università e i centri di ricerca, supportati finanziariamente, per il sostegno accademico all’industria, in particolare nello sviluppo di nuove tecnologie dirompenti ed emergenti e finalizzati a procedere a tappe forzate nel recupero del divario con i concorrenti cinesi e americani.
Le aziende europee, quindi l’economia europea, sono troppo dipendenti dalle situazioni geopolitiche internazionali, stante la scarsa autonomia strategica: nell’arco di poche settimane un blocco di produzione a Taiwan comporterebbe lo stop totale a tutta la produzione industriale europea.
E la situazione di Taiwan ogni giorno preoccupa sempre di più
La politica dettata dai governi degli stati d’Europa deve essere implementata in modo da garantire ai cittadini europei il mantenimento di quella leadership che si esprime nei vari settori industriali mondiali.
Se da ora corressimo ai ripari non saremo ancora autonomi per altri 10 anni: anni in cui i nostri concorrenti correranno ancora più velocemente. Dobbiamo perciò stressare la politica ad accendere un faro sul problema, anche tramite strutture istituzionali che in Europa possono essere ancora di più sostenute e finanziariamente supportate.
Questa è la sfida che si concretizza nei prossimi anni per tutta l’Europa: l’Italia sarà pronta ad affrontarla? Per certi versi l’Italia, soprattutto nel campo cibernetico sta facendo passi da gigante. La recente costituzione dell’Agenzia Cibernetica Nazionale, le attività introdotte con il PNRR danno una prospettiva di investimento nel settore. Certo il coordinamento tra i vari ambiti industriali è fondamentale per concentrare le forze su sistemi nazionali o europei mirati a far ridurre quella dipendenza da sistemi non proprietari. Così come sarà fondamentale indirizzare le nostre Università per focalizzare lo studio e la ricerca in ambiti che ci garantiscano questa autonomia strategica.
La sfida che ci si pone davanti nei prossimi dieci anni è indubbiamente ardua, ma non può più essere rimandata. È il momento di affrancarci e mettere tutto l’impegno per vincere.
Articolo pubblicato su Agenda Digitale il 2 dicembre 2021.