Ricercatori del National Renewable Energy Laboratory (NREL) e della NASA stanno conducendo uno studio basato sull’applicazione dell’innovativo materiale fotovoltaico sulla superficie esterna della Stazione Spaziale Internazionale. Lo scopo è sperimentare questa nuova tecnologia che garantirebbe maggiore efficienza e un significativo abbattimento dei costi.
Il National Renewable Energy Laboratory (NREL) e la NASA sono al lavoro per dimostrare la funzionalità del binomio energia solare / spazio. Infatti, sebbene speciali pannelli fotovoltaici rivolti verso il Sole siano già stati utilizzati per generare elettricità destinata ai rover (veicoli motorizzati) e alle sonde spaziali impiegati per le missioni su Marte, i costi di produzione di queste celle solari ad alta efficienza installate sulla Terra si sono rivelati troppo elevati. I ricercatori del NREL stanno quindi sperimentando diverse soluzioni per ridurre tali costi e, inoltre, trasformare il modo in cui le tecnologie fotovoltaiche funzionano nello spazio.
In quest’ottica, il prossimo test servirà a valuterà sia il potenziale utilizzo nello spazio delle celle solari in perovskite, sia la durevolezza dei materiali impiegati in tali celle. Un team operante presso il NREL (e composto da Kaitlyn VanSant, Adele Tamboli, Ahmad Kirmani, Joey Luther, Severin Habisreutinger, Rosie Bramante, Dave Ostrowski, Brian Wieliczka e Bill Nemeth) ha preparato le celle e i materiali di perovskite, e 8 di questi prototipi sono stati lanciati a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) ad agosto, mentre un’altra serie di 25 sarà lanciata nella primavera del 2022. Tali campioni, ciascuno dei quali misura un pollice quadrato (6,4516 cm2), fanno parte del programma Materials International Space Station Experiment (MISSE) e saranno fissati all’esterno della piattaforma orbitante.
La differenza con le celle in silicio utilizzate sulla Terra
Normalmente, l’energia solare sulla Terra viene generata da moduli in silicio. Altre tecnologie fotovoltaiche, come quelle utilizzate nello spazio, si basano su materiali presenti sulle colonne dalla III alla V della tavola periodica degli elementi chimici, pertanto sono chiamate celle III-V. Gli scienziati hanno sperimentato il posizionamento di una cella III-V sopra a uno strato di silicio per aumentare l’efficienza nel catturare la luce solare da convertire in elettricità (una cella solare al silicio di per sé ha un’efficienza massima del 26% circa, se misurata sotto il tipico spettro solare terrestre, il quale differisce sulla Terra e nello spazio).
Adele Tamboli ha fatto parte del gruppo di ricerca che nel 2007 stabilì un record per celle solari III-V su silicio, che furono in grado di convertire il 35,9% della luce solare incidente in energia elettrica. Ebbene, la stessa Tamboli, insieme a VanSant e a un’altra scienziata, Emily Warren, avrebbe successivamente proposto di utilizzare le nuove celle per alimentare i satelliti operanti nell’orbita terrestre bassa. Ma prima che ciò potesse accadere, le celle dovevano essere testate nelle condizioni estreme dello spazio.
Nello spazio, infatti, i materiali sono soggetti a sbalzi di temperatura estremi e bombardati dalla radiazione solare. Quando la Stazione Spaziale Internazionale si sposta dietro la Terra e si allontana dal Sole, la temperatura precipita a 250 gradi sotto lo zero Fahrenheit, mentre il ritorno sotto la luce del sole la fa salire a 250 sopra lo zero.
“Il danno da radiazioni è un fatto da considerare”, ha spiegato Warren. “La precedente cella era di arseniuro di gallio su silicio, e quella che abbiamo lanciato è di fosfuro di gallio indio su silicio. Questo perché sappiamo che quei materiali sono più tolleranti alle radiazioni.”
Le innovative celle solari in perovskite
La navicella spaziale SpaceX ha trasportato la cella solare III-V su silicio preparata dal NREL sulla Stazione Spaziale Internazionale nel marzo del 2020. Il prototipo è rimasto per dieci mesi fissato all’esterno della ISS prima di essere riportato sulla Terra nel gennaio scorso. “L’analisi post-volo della cella”, ha detto VanSant, “ci dà l’opportunità di studiare il modo in cui vogliamo sviluppare il design e migliorarlo per ottenere le prestazioni [desiderate] e per capire se è possibile che questa tecnologia possa fornire energia nello spazio”.
Le celle solari e i materiali di perovskite (un minerale costituito da titanato di calcio) dovrebbero trascorrere sei mesi sulla ISS. la procedura non prevede un lancio diretto nello spazio. Dal NREL, le cellule vengono spedite ad Alphaspace, una società di Houston che prepara i campioni per l’operazione sulla piattaforma MISSE e predispone il lancio dell’esperimento a bordo di un volo SpaceX.
Un materiale economico e robusto
Esperimenti terrestri condotti in strutture per test con le radiazioni dimostrano che le celle solari in perovskite sono sorprendentemente tolleranti alle radiazioni, come ha dichiarato Joseph Luther, scienziato presso il NREL, co-adviser del progetto ed esperto di questa nuova tecnologia. “Tali celle sono molto sottili e questo aiuta molto. La maggior parte della radiazione passa semplicemente attraverso di esse. Il silicio, rispetto alle perovskiti, è centinaia di volte più spesso”. È anche molto a buon mercato, per via della scala di produzione, e rappresenta una soluzione ottimale per le applicazioni terrestri, ma nello spazio il suo spessore fa sì che la radiazione incidente sulla superficie venga assorbita e danneggi la cella, causando problemi.
Un altro vantaggio delle celle solari leggere in perovskite è costituito dal fatto che ridurrebbero sensibilmente i costi della messa in orbita di un payload: da 10.000 dollari per pound di oggi a centinaia di dollari, entro un quarto di secolo.
L’efficienza delle celle solari è stata misurata prima di lasciare il NREL e sarà misurata di nuovo al loro ritorno sulla Terra. Sia le cellule che i materiali componenti delle cellule saranno inoltre descritti prima e dopo il volo. La resistenza delle celle e dei materiali di perovskite al viaggio sarà subito evidente. Infatti, Lyndsey McMillon-Brown, ingegnere di ricerca presso il Glenn Research Center della NASA e uno dei principali sostenitori dello studio che mira a portare le perovskiti nello spazio, ha affermato che un cambiamento di colore è il primo indizio di danneggiamento e che il colore desiderabile per una cella solare in perovskite è il nero corvino, mentre una cella degradata si presenta di colore giallo senape.