Oltre 3.000 navi investigate e più di 200 voli sospetti monitorati, 11 ispezioni, 1 dirottamento, oltre 100 visite consensuali a bordo di mercantili: sono questi i risultati ottenuti in un anno dall’operazione navale varata dall’Unione Europea per supportare il processo di pace in Libia, e che è stata recentemente rinnovata per un ulteriore biennio. Dei compiti e delle prospettive future della missione, nonché della complessa situazione politico-militare del paese nordafricano, abbiamo parlato con il comandante italiano della missione.
Il compito principale assegnato a EUNAVFORMED Irini è quello di implementare l’embargo delle armi da e verso la Libia, deciso dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, utilizzando asset aerei, navali, satellitari, e l’intelligence dei paesi membri. Task secondari sono: monitorare e raccogliere informazioni sul traffico illecito di petrolio e derivati, contribuire allo smantellamento del modello di business dei trafficanti di esseri umani e contribuire al rafforzamento delle capacità e all’addestramento della Guardia Costiera e della Marina libiche. Alla luce dell’evoluzione politico-militare della crisi nel paese nordafricano, facciamo un punto della situazione con il contrammiraglio Fabio Agostini della Marina Militare italiana, Operation Commander di Irini.
Ammiraglio Agostini, qual è, oggi, il ruolo di EUNAVFORMED?
Come dichiarato dal Capo della diplomazia europea, Josep Borrell, l’Operazione Irini non è la soluzione del problema, ma è una parte della soluzione che ha origine dalla Conferenza di Berlino del 2020, nel corso della quale l’Unione Europea ha affermato la propria intenzione di partecipare attivamente al processo di pace in Libia. Questo obiettivo è perseguito seguendo diversi binari: economico, umanitario, politico e militare. In quest’ottica, Irini è uno strumento che consente alla politica e alla diplomazia di fare il proprio lavoro, in quanto contribuisce a portare stabilità in Libia e sicurezza in quest’area del Mediterraneo, agevolando quindi il processo di pace. Una Libia stabile e sicura avrà una serie di conseguenze che sono quelle auspicate dall’Europa, in primo luogo il miglioramento delle condizioni di vita dei libici, che sono stravolti da dieci anni di guerra. In Libia ho avuto modo di parlare con molte persone: un decennio di guerra civile è molto logorante, e la gente desidera tornare a una vita il più possibile normale. Da quando è in corso l’Operazione Irini c’è stato il cessate il fuoco, è stato formato un nuovo governo ed è ripresa la produzione del petrolio. In quale modo Irini abbia contribuito a tutto questo non lo potremo mai misurare, ma è un dato di fatto che il cambiamento si è verificato da quando Irini è stata avviata.
Irini ha avuto anche un effetto sul fenomeno migratorio?
Una maggiore stabilità in Libia e un maggiore controllo del territorio migliorerebbe il benessere del popolo libico, aumenterebbe la sicurezza nell’area, migliorerebbe l’economia e ridurrebbe i flussi migratori. Si tratta di un processo che parte dalla sicurezza nel centro del Mediterraneo, che noi stiamo cercando di alimentare, e porterà dei benefici in Libia e, conseguentemente, anche in Europa. Con l’operazione Sophia sono state addestrate circa 500 persone e gli uomini della Guardia Costiera hanno acquisito la capacità di gestire la sicurezza nelle acque di propria giurisdizione: nell’ultimo periodo, stando ai dati disponibili, il 50% dei migranti che partono dalla Libia sono stati salvati dalla Guardia Costiera libica (nel 2015 la cifra era dell’1%). La peculiarità e il valore aggiunto dell’addestramento sviluppato da Sophia, che Irini intende replicare, è in primo luogo l’attenzione per il rispetto dei diritti umani, delle questioni di genere, dei minori, al quale hanno contribuito anche l’UNHCR, la Croce Rossa e altre organizzazioni.
La differenza sostanziale tra l’Operazione Sophia e Irini è che precedentemente il task principale era quello di smantellare il traffico di migranti. Con Irini si è fatto un passo avanti poiché, contribuendo a creare le condizioni per un cessate il fuoco permanente e permettendo alla politica e alla diplomazia di lavorare, cerchiamo di migliorare la situazione del paese nel suo complesso.
Dal punto di vista del traffico di armi e idrocarburi, com’è il trend in questa fase di maggiore stabilità?
Per quanto riguarda i traffici marittimi, abbiamo sicuramente registrato una diminuzione. Considerate che una nave può portare molto più materiale di quanto possa fare un aereo; a volte si parla di rapporti, con le navi piccole, di 8:1 o anche 10:1. I traffici marittimi di materiale bellico, a nostro giudizio, sono molto diminuiti. Avevamo evidenze d’intelligence a terra di materiali arrivati via nave fino all’inizio di Irini, fino a maggio, dopodiché i traffici marittimi di materiale bellico si sono drasticamente ridotti, proprio perché tutti i paesi coinvolti sanno che con Irini corrono il rischio di subire dei blocchi. È anche vero che abbiamo dei limiti. Infatti, non possiamo abbordare indiscriminatamente tutte le navi perché le leggi internazionali, che per primi dobbiamo rispettare, ci consentono di ispezionare una nave solo ed esclusivamente se lo Stato di bandiera di quella nave non comunica la sua opposizione.
I traffici aerei sono rimasti più o meno agli stessi livelli, quindi, in generale, possiamo dire che i traffici di armi sono diminuiti. Rimane, invece, il problema dei mercenari ancora attivi in territorio libico in numero tuttora elevato, per i quali non abbiamo visto trend in diminuzione.
La situazione si è fossilizzata ed è abbastanza stabile anche dal punto di vista militare, perché una linea fortificata che va da Sirte ad Al Jufra divide la Cirenaica dalla Tripolitania. Per il resto, è in vigore un cessate il fuoco, che sta tenendo, e si è insediato il Governo di unità nazionale che sta cercando di mettere d’accordo le varie anime della Libia.
Tuttavia, ci sono ancora alcuni problemi. Fra questi, uno dei nodi economici, che poi diventa militare e politico, è il petrolio, il quale costituisce la maggiore fonte di introiti per i libici. La produzione è ripresa dal settembre scorso e, su un potenziale teorico di 2 milioni di barili al giorno, attualmente ne vengono prodotti 1,3 milioni, un numero comunque cospicuo che garantisce grandi entrate legali.
Purtroppo, però, i traffici illeciti non sono ancora completamente smantellati, in quanto esistono ancora organizzazioni criminali dedite al contrabbando di petrolio ed esiste il problema costituito dalla non equa distribuzione dei proventi su tutto il territorio.
Quali sono stati gli episodi più significativi nell’ambito del contrasto ai traffici illeciti?
L’evento più interessante da ricordare è quello del sequestro di un carico di 13.000 metri cubi di jet fuel destinato a Bengasi. Per essere sicuri che si trattasse di carburante destinato ad aerei militari, lo abbiamo fatto analizzare da un laboratorio specializzato, appurando in questo modo che si trattava di carburante JET A-1 e che quindi rientrava nell’ambito del materiale bellico non consentito e soggetto a embargo. Dopo questa verifica, abbiamo sequestrato nave e carico e li abbiamo portati nel Pireo. La nave è stata poi rilasciata, mentre il carico è ancora in Grecia. Vorrei sottolineare che si è trattato del primo dirottamento di una nave per sospetto traffico di armi nella storia militare dell’Unione Europea.
Comandare un’operazione multinazionale di questo tipo non dev’essere semplice. Si tratta di un ruolo delicato, perché i vari Paesi hanno una sensibilità diversa, anche riguardo ai diversi attori esterni che sono coinvolti nella questione libica.
Il coordinamento di tante realtà diverse, soprattutto se di natura politico-militare, è complesso. L’Operation Commander deve necessariamente contribuire già in fase di pianificazione, con la sua esperienza politico-militare e operativa, a tradurre in un piano operativo (OPLAN) le linee guida politiche recependo le richieste e i suggerimenti di tutti i Paesi Membri e delle varie entità europee aventi causa.
Dal punto di vista squisitamente militare, il coordinamento è sicuramente più semplice perché ogni organizzazione militare è, per sua natura, sempre abbastanza verticistica. A capo di questa operazione ci sono io che dialogo direttamente con il livello politico rappresentato dal PSC (Political and Security Committee), il quale comprende i 27 ambasciatori dei paesi europei. Da me dipendono due rami: uno è quello operativo in mare, con un ammiraglio italiano che si alterna con uno greco ogni 6 mesi, il Force Commander.
Proprio il Force Commander ha il compito di dirigere le operazioni in mare e in cielo nel teatro di operazione, avvalendosi del contributo di navi, aerei da ricognizione, elicotteri, team di abbordaggio e droni di varie nazionalità.
Qui a Roma, nel quartier generale c’è la centrale operativa che ci permette, 24 ore al giorno e 365 giorni all’anno, la gestione degli aspetti strategici dell’Operazione EUNAVFORMED Irini che è composta da personale di 24 Paesi.
Qui, presso l’Operation Headquarter (OHQ), abbiamo un capo dello staff (un ammiraglio o un generale) che si alterna tra Grecia e Italia. Quindi, quando in mare c’è un ammiraglio greco, a Roma c’è un capo di stato maggiore italiano e viceversa. Al momento abbiamo un ammiraglio italiano in mare, con una flagship italiana, mentre all’OHQ c’è un Chief of Staff greco.
Durante la condotta dell’operazione, è necessario che le forze in mare abbiano sempre un atteggiamento assolutamente bilanciato ed equilibrato nei confronti delle varie parti in causa e dei Paesi che le supportano. Se si svolgono i propri compiti in maniera equilibrata e imparziale, a prescindere dagli attori coinvolti, nessuno potrà obiettare circa una condotta parziale dell’operazione.
Qualche protesta, però, c’è stata.
Ovviamente c’è sempre qualcuno che protesta. Nonostante il nostro mandato sia sotto l’egida di un quadro di risoluzioni del consiglio di sicurezza dell’ONU ben definito, e il nostro comportamento sempre improntato al massimo rispetto del diritto internazionale e delle regole di ingaggio fornite dai Paesi europei, qualcuno ci ha persino definito “pirati”.
Questo fa parte di una dialettica politica internazionale che coinvolge molti paesi esterni all’Unione Europea, ognuno con i propri interessi e obiettivi da perseguire. Colpendo Irini, si cerca di sfaldare quell’unità europea che, invece, ha dimostrato la propria solidità con il lancio all’unanimità dell’Operazione nel 2020 e il suo rinnovo per due anni nel 2021.
Qualunque sia l’interesse che i vari attori internazionali intendono perseguire, non vi è dubbio che la pace in Libia debba essere l’obiettivo di tutti, perché ciò significa maggiore sicurezza nel Mediterraneo, maggiore prosperità per il popolo libico martoriato da dieci anni di guerra, maggiore stabilità economica per tutta la regione e minori flussi migratori.
A livello di intelligence, vi arrivano segnalazioni sui traffici anche da fonti esterne?
Abbiamo diverse fonti d’intelligence. Innanzitutto, i Paesi membri che rispondono alle richieste sui mercantili da noi considerati sospetti. Un’altra fonte è il Pannello degli Esperti sulla Libia delle Nazioni Unite, un organismo che opera per conto del Comitato Sanzioni sulla Libia del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, incaricato di seguire le tematiche relative all’embargo sulle armi in Libia. Il Pannello è lo stesso che raccoglie tutte le segnalazioni, comprese le nostre, per compilare un report completo al Consiglio di Sicurezza segnalando le varie infrazioni all’embargo. Una parte importante di questi rapporti è stata redatta proprio grazie alle nostre segnalazioni.
Con il Pannello degli Esperti c’è uno scambio continuo e biunivoco di informazioni utile per il contrasto di ogni tipo di traffico di armi, da quello marittimo a quello con vettori aerei, e di traffici di petrolio. La terza fonte d’intelligence, quella che fornisce informazioni con maggiore continuità, è il Centro Satellitare Europeo di Torrejon (EU SATCEN), che ci fornisce immagini satellitari delle aree di interesse corredate da opportune analisi fotografiche che la nostra cellula intelligence successivamente approfondisce anche sulla base delle informazioni disponibili raccolte da altre fonti.
Quindi c’è un sistema di intelligence piuttosto complesso che basa la sua essenza sulla correlazione delle varie informazioni provenienti da fonti diverse i fonti, anche di tipo Open Sources.
Con il nuovo governo libico è cambiato qualcosa nei rapporti con Irini? Sarà possibile ricominciare ad addestrare la Guardia Costiera Libica?
Quando sono andato in Libia, a novembre, non ho trovato particolari preclusioni dogmatiche per una collaborazione con l’UE e per ricominciare l’addestramento che era stato avviato anni fa ai tempi della operazione Sophia. Però dai libici è stata messa chiaramente una condizione, che rimane ancora adesso, e cioè che l’addestramento sia abbinato a qualche forma di supporto in termini di materiali. La Marina e la Guardia Costiera libica impiegano oggi unità che sono piuttosto obsolete e spesso inadeguate al compito, e quindi richiedono che vengano forniti loro anche i mezzi.
L’attuale Governo di Unità Nazionale presenta un maggiore attivismo e cerca di riallacciare rapporti più proficui con tutta la comunità internazionale. Quindi, personalmente, sono ottimista. Non so quando succederà, ma penso anche che EUNAFORMED, nel medio-lungo periodo, possa riprendere l’addestramento della Guardia Costiera libica, un addestramento che, lo ricordo, è basato soprattutto sul rispetto di tutte le leggi internazionali e dei diritti umani, nonché sull’attenzione alle questioni di genere e ai diritti dei minori.
È un compito che Irini ha nel suo mandato, ed è un obiettivo che dobbiamo perseguire.
Infatti, dobbiamo chiederci: se il personale della Guardia Costiera e della Marina libiche non sarà addestrato da Irini, chi lo farà? L’addestramento da parte dei Paesi Europei è sicuramente una garanzia per tutta la comunità internazionale. Si pensi che già dal processo di selezione del personale da addestrare, EUNAFORMED si basa su un processo detto di “vetting”, molto complesso, che coinvolge Europol e Interpol oltre a tutti gli Stati membri, durante il quale vengono effettuati tutti i controlli necessari per assicurare che nessuna delle persone che viene addestrata abbia commesso reati o attuato condotte non consone al ruolo.
Inoltre, all’addestramento segue il monitoraggio, cioè la verifica che il personale si comporti secondo i dettami impartiti durante il processo di addestramento nel rispetto dei diritti umani.
È fiducioso riguardo alle elezioni previste per dicembre?
Sicuramente quella delle elezioni è una prospettiva molto significativa, soprattutto per il popolo libico che è stanco dopo dieci anni di guerra e vuole la pace. Il processo politico è avviato, ci sono dei passi che devono essere compiuti nel breve periodo per far sì che poi si attivi tutto il processo che porta alle elezioni. Noi auspichiamo che questo avvenga nel rispetto delle tempistiche, anche se qualche giorno di ritardo sarebbe sicuramente accettabile. Ci sono certamente delle questioni tecniche, delle modifiche da fare al sistema costituzionale per dare la maggiore rappresentatività possibile, ecc.; ma, a parte questo, il processo è avviato; c’è inoltre il controllo dell’ONU che sta seguendo questo processo. Il governo provvisorio sta dimostrando la sua volontà di perseguire la strada democratica delle elezioni, e questo è importante.
Dopo le elezioni, Irini manterrà il ruolo attuale?
Il compito di Irini finisce nel momento in cui non è più necessaria il supporto di un’operazione militare per implementare il processo di pace in Libia, e quando la Guardia Costiera e la Marina libiche si dimostrino capaci di svolgere autonomamente i rispettivi compiti all’interno delle acque di responsabilità.
Tutti speriamo che il compito di Irini si esaurisca presto, ma l’Europa ha compreso che al momento per risolvere i problemi della Libia serve ancora tempo. Per questo il mandato è stato prorogato per ulteriori due anni. Io penso che dopo le elezioni, affinché si completi il processo di pace, sarà necessario un orizzonte temporale al momento non prevedibile, ed è importante che in quella fase non ci siano interferenze esterne, che non arrivino armi e che quella zona di mare rimanga sicura. Dunque, credo che il compito di Irini non terminerà con le elezioni, anche per permettere alla Guardia Costiera e la Marina libiche di diventare completamente autonome nel gestire la sicurezza nelle acque di giurisdizione
Il rischio scissione è ancora concreto?
Se questo Governo di Unità Nazionale dovesse fallire, ci potrebbero essere conseguenze non positive per il Paese nordafricano. Ma credo che la forte volontà del popolo libico di tornare alla normalità avrà la meglio: i libici sono stanchi, non vogliono più la guerra. Io confido che il processo verso le elezioni avrà successo, che ci sarà un governo rappresentativo, e che non ci sarà divisione tra le varie regioni libiche. Bisogna però che tutti gli attori della comunità internazionale facciano il loro meglio perché questo avvenga: qualcuno dovrà fare un passo avanti, altri un passo indietro.