Nell’ambito della Pacific Deterrence Initiative, l’USINDOPACOM ha chiesto al Congresso di raddoppiare il budget destinato al teatro indo-pacifico per i prossimi sei anni. L’obiettivo è quello di incrementare i sistemi di difesa missilistica nella regione in modo da dissuadere eventuali azioni militari di Pechino e di altri potenziali avversari.
Gli Stati Uniti intendono rafforzare il loro deterrente balistico convenzionale in funzione del contenimento della Cina, installando una rete di missili di precisione lungo la catena di isole che comprende Okinawa (Giappone), Taiwan e le Filippine. Lo ha riferito il quotidiano finanziario giapponese Nikkei dopo aver visionato il documento con le proposte per la Pacific Deterrence Initiative (PDI) che l’US Indo-Pacific Command (USINDOPACOM, il Comando delle forze armate statunitensi responsabile della regione dell’Indo-Pacifico) ha presentato al Congresso il 1° marzo, con un piano di spesa di circa 27,4 miliardi di dollari da destinare a quel teatro nell’arco dei prossimi sei anni.
La Cina considera la catena di isole sopra citata (First Island Chain) come la sua prima linea di difesa. Pertanto, la strategia A2/AD (anti-access/area denial – Interdizione all’accesso e interdizione di area) di Pechino mira a tenere le forze statunitensi al di là di essa (guardando dalla Cina), quindi fuori dal Mar Cinese Orientale e dal Mar Cinese Meridionale; in secondo luogo, ambirebbe a impedire loro di avvicinarsi alla “Second Island Chain”, la seconda catena di isole che si estende dal Giappone orientale fino a Guam e all’Indonesia.
“Il più grande pericolo per il futuro degli Stati Uniti continua ad essere l’erosione della deterrenza convenzionale”, si legge nel documento di USINDOPACOM. “In mancanza di un deterrente valido e convincente, la Cina continuerà ad agire nella regione e a livello globale per soppiantare gli interessi degli Stati Uniti. Man mano che l’equilibrio militare dell’Indo-Pacifico diventa più sfavorevole, gli Stati Uniti accumulano rischi aggiuntivi che potrebbero incoraggiare gli avversari a tentare unilateralmente di cambiare lo status quo.” Dato il contesto, si richiede in particolare la messa in campo di una forza congiunta integrata (Integrated Joint Force) dotata di network per gli attacchi di precisione a ovest della linea internazionale del cambio di data (International Date Line), lungo la prima catena di isole, una difesa aerea missilistica integrata nella seconda catena di isole, nonché una postura di forza distribuita capace di preservare la stabilità e, in caso di necessità, sostenere operazioni di combattimento per lunghi periodi.
Il piano presentato da USINDOPACOM a Capitol Hill
L’US Indo-Pacific Command ha presentato al Congresso un piano di investimenti da stanziare fra il 2022 e il 2027.
Nello specifico, solo per l’anno fiscale 2022 ha richiesto 4,7 miliardi di dollari (più del doppio dei 2,2 stanziati nell’anno fiscale 2021), una cifra vicina ai circa 5 miliardi di dollari che Washington spende ogni anno per la deterrenza delle attività russe. “La PDI è strutturata per migliorare la trasparenza e la supervisione del budget, concentrando le risorse su capacità militari vitali per dissuadere la Cina e qualsiasi potenziale avversario dall’intraprendere azioni militari”, si afferma nel documento.
In passato, la Cina si è opposta ai tentativi statunitensi di posizionare scudi missilistici nei paesi alleati, in particolare nella Corea del Sud. Infatti, considera le acque tra le proprie coste orientali e la prima catena di isole come la sua prima linea di difesa, e punta a conseguire una presenza militare esclusiva in questa area geografica.
Il budget di 27,4 miliardi di dollari in sei anni richiesto da USINDOPACOM rappresenta un aumento del 36% rispetto alla spesa pianificata per lo stesso arco temporale a partire dall’anno fiscale 2020, e riflette il crescente allarme per l’attività cinese intorno a Taiwan e nel Mari Cinese Orientale e Meridionale.
Nel documento redatto dall’ammiraglio Philip Davidson, a capo dell’Indo-Pacific Command, si richiedono nuovi missili e difese aeree, sistemi radar, aree di addestramento, centri di condivisione dell’intelligence, depositi per rifornimenti e campi di prova in tutta la regione, così come esercitazioni con alleati e partner.
Il documento sottolinea la necessità di “network per lo strike di precisione posizionati lungo la First Island Chain, caratterizzati da un’elevata capacità di sopravvivenza e dotati di una maggiore quantità di armi basate a terra. Questi network devono essere decentralizzati dal punto di vista operativo e distribuiti geograficamente lungo gli arcipelaghi del Pacifico occidentale, utilizzando una Service agnostic infrastructure”.
Nel corso di un’intervista con il think tank American Enterprise Institute di Washington, Davidson ha espresso la propria preoccupazione per i prossimi anni, poiché “è chiaro come il periodo tra oggi e il 2026 rappresenti l’orizzonte temporale in cui la Cina è posizionata per raggiungere uno stato di superiorità nelle sue capacità, e Pechino potrebbe scegliere di cambiare con la forza lo status quo nella regione. Un cambiamento che potrebbe diventare permanente”.
La presenza USA nell’Indo-Pacifico e la forza della Cina
Secondo quanto riportato dal libro bianco della Difesa giapponese del 2020, gli Stati Uniti hanno circa 132mila truppe di stanza nell’Indo-Pacifico.
Il piano di spesa dell’US Indo-Pacific Command prevede “network per lo strike di precisione altamente resistenti lungo la prima catena di isole” come elemento centrale, con conseguente maggiore utilizzo di batterie terrestri con missili convenzionali.
Gli Stati Uniti hanno da tempo basato la loro strategia militare per il contenimento della Cina sull’impiego di forze navali e aeree (durante la crisi dello Stretto di Taiwan del 1996, Washington inviò portaerei come deterrente).
La Cina, dal canto suo, detiene un arsenale missilistico diversificato (comprendente 1.250 missili terrestri a raggio intermedio) che ambirebbe a bloccare una possibile avanzata militare statunitense al di là della seconda catena di isole (sempre guardando dalla Cina). Ciò ha quindi reso meno incisiva la strategia degli Stati Uniti basata sull’impiego delle forze navali e aeree.
Il divario tra Cina e Stati Uniti è dovuto all’adesione di Washington all’Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty (INF), da cui Washington si è poi ritirata ufficialmente il 2 agosto 2019, che vietava il possesso, la produzione e il test di missili balistici e da crociera lanciati da terra con portata compresa tra 500 e 5.500 km. “Il Trattato INF ha bloccato inutilmente gli Stati Uniti”, ha dichiarato in un’intervista a Nikkei il senatore Jim Risch, membro repubblicano della Commissione Relazioni esteri del Senato USA, il quale ha poi sottolineato come lo spiegamento di missili a raggio intermedio nell’Indo-Pacifico “sia un’area di discussione vasta e sempre più necessaria da esplorare per Stati Uniti e Giappone”.
Il Giappone sarà la base dei missili USA?
Nel suo documento, Davidson ha sottolineato inoltre la necessità che gli Stati Uniti collaborino con gli alleati nella regione indo-pacifica e li includano negli sforzi per condividere informazioni militari. “Stiamo sviluppando un’architettura integrata per espandere orizzontalmente la condivisione dei dati tra nazioni che la pensano allo stesso modo attraverso l’utilizzo di centri di fusione delle informazioni in Asia meridionale e nel Sud-Est Asiatico, nonché in Oceania”, ha specificato l’ammiraglio.
Tokyo, da parte sua, attraverso un funzionario del Governo avrebbe commentato che una rete di missili contro la Cina nella regione indo-pacifica “sarebbe un vantaggio per il Giappone”.
Le forze terrestri, marittime e aeree americane sono stanziate in Giappone in forza del trattato bilaterale di sicurezza firmato dai due paesi (Treaty of Mutual Cooperation and Security between the United States and Japan) che obbliga Washington a difendere il Giappone da ogni attacco esterno. Al momento ci sono circa 55.000 truppe statunitensi sul suolo nipponico, il più grande contingente militare americano all’estero.
Queste forze attualmente non dispongono di missili che potrebbero raggiungere la Cina, e il posizionamento di missili statunitensi sul territorio giapponese potrebbe incontrare difficoltà politiche. Tokyo e Washington avrebbero bisogno di discutere i dettagli di qualsiasi dispiegamento proposto, comprese le posizioni e la portata dei sistemi in oggetto. La decisione del Giappone di ospitare missili americani creerebbe inoltre disappunto da parte della Cina, complicando i rapporti diplomatici fra i due vicini.
La Cina rimane la massima priorità
Il nuovo capo del Pentagono Lloyd Austin ha dichiarato al Senato che “la Cina è la massima priorità”, impegnandosi a pubblicare una nuova National Defense Strategy nel 2022, aggiornando il documento del 2018. “Non c’è dubbio”, ha invece affermato il Segretario di Stato Antony Blinken alla Commissione Relazioni estere del Senato, che la Cina rappresenta la “sfida più significativa rivolta agli Stati Uniti da qualsiasi altro stato nazionale”, e che “dobbiamo approcciare la Cina da una posizione di forza, non di debolezza”.