Percepiti per lo più come innocui giocattoli, i mini-droni oggi utilizzati per gli spettacoli di luci possono rappresentare una grave minaccia per aeroporti ed altri obiettivi sensibili. Sebbene singolarmente modesti come minaccia, se impiegati in centinaia di esemplari per attacchi coordinati sarebbero in grado di sopraffare qualunque sistema anti-drone attualmente installabile in ambiente urbano.
Gli ultimi anni hanno visto l’impiego di droni commerciali per allestire emozionanti spettacoli di luci con grandiose coreografie nei cieli notturni. Ciò è possibile grazie all’impiego di sciami composti da molte decine, centinaia o persino migliaia (il record attuale è 3.051) di droni luminosi gestiti da software con logiche di intelligenza artificiale che consentono ai piccoli velivoli di riprodurre e “animare” imponenti figure tridimensionali. Si tratta di un impiego ludico e quindi innocuo, ma che dimostra come la tecnologia di questi “giocattoli” si sia evoluta al punto da poterne ipotizzare un impiego malevolo tale da generare ulteriori potenziali minacce per la sicurezza.
Le difese attuali
Nel dicembre 2018, pochi giorni prima delle vacanze natalizie, un drone sorvolò illegalmente l’aeroporto londinese di Gatwick, provocandone la chiusura per circa 24 ore, con conseguenti danni finanziari per milioni di euro. Anche un singolo drone in volo nell’area dove si effettuano le manovre di decollo e atterraggio rappresenta un grave pericolo per gli aerei, con i quali potrebbe entrare in collisione, arrivando a provocarne persino la caduta nel caso dovesse impattare con le ventole di un motore. Per questo motivo, molti aeroporti sono stati dotati di sistemi di scoperta e tracciamento dei droni, ma generalmente gli scali civili non dispongono dei relativi sistemi di contrasto. Dunque, nel caso che un drone venga identificato nell’area dell’aeroporto (che in genere si estende ad una fascia larga 5 km intorno allo scalo, anch’essa coperta dal divieto di sorvoli non autorizzati), vengono allertate le Forze dell’ordine, alle quali il sistema di scoperta, in molti casi, può fornire le coordinate relative alla probabile posizione dell’operatore del drone e il numero seriale del drone stesso (trasmesso come “firma” nel datalink). Questo identificativo consente di risalire all’identità del proprietario, nel caso in cui il drone sia stato registrato come previsto dalla normativa ENAC. Questa soluzione è efficace per gestire singoli eventi di pericolo provocati da sconfinamenti accidentali o bravate di operatori comunque non animati da intenti particolarmente ostili, ma bisogna tenere presente che i droni commerciali sono nella disponibilità di chiunque.
A tale riguardo, si è più volte ipotizzata la possibilità che terroristi decidano di sfruttare questi sistemi per provocare incidenti aerei. Pertanto, in diversi paesi sono stati sviluppati sistemi di protezione C-UAS (Counter Unmanned Aerial System) capaci di individuare e neutralizzare i droni prima che possano raggiungere obiettivi sensibili e infrastrutture critiche, come appunto le aeree interessate dal traffico aereo. Questi sistemi, potendo essere impiegati anche in ambiente urbano e in presenza di infrastrutture di telecomunicazione particolarmente importanti, come quelle di un aeroporto, sono tipicamente costituiti da sistemi di disturbo elettromagnetico (jamming) operanti nelle specifiche bande di frequenza impiegate per il controllo dei droni commerciali e caratterizzati da un elevato grado di direzionalità del fascio elettromagnetico, allo scopo di “colpire” esclusivamente il drone, minimizzando il rischio di disturbare altri apparati. La maggior parte di questi sistemi agisce non solo sulla frequenza di radio-controllo, per interrompere il collegamento tra il drone e il sistema di controllo remoto, ma anche sul segnale GPS, per impedire al drone di conoscere con certezza la propria posizione. Infatti, i droni commerciali più evoluti possono essere programmati per una navigazione “autonoma” basata appunto su coordinate GPS preimpostate. Tra l’altro, possono essere programmati con una procedura di rientro automatico che, in caso di perdita di collegamento con l’unità di controllo, consente loro di spostarsi sulle coordinate GPS preimpostate dall’operatore. Nelle mani di terroristi, tale funzionalità potrebbe essere impiegata per consentire al velivolo di proseguire con la propria missione anche in caso di jamming della frequenza di radio-controllo, semplicemente impostando come punto di rientro un’area a elevata probabilità d’impatto con gli aerei in transito. La direzionalità dell’azione di jamming, dunque, consente di evitare di interferire con i sistemi di posizionamento satellitare di aerei o sistemi, inibendo l’uso del GPS soltanto all’interno di un cono relativamente stretto dentro al quale viene collocato il bersaglio.
Oltre ai jamming, sono stati sperimentati altri sistemi, quali vere e proprie reti lanciate con vari metodi (lanciatori pneumatici o speciali munizioni per fucili a pompa), grandi uccelli predatori appositamente addestrati e droni anti-drone (a loro volta dotati di sistemi di jamming o di strumenti fisici come reti o cavi con i quali bloccare le pale del bersaglio), ma i sistemi a radiofrequenza si sono rivelati i più flessibili nell’impiego, consentendo in alcuni casi anche di prendere il controllo del drone e di contrastare attacchi di più droni contemporaneamente.
Possibili impieghi terroristici degli sciami
Pensati per gestire attacchi di singoli droni o di piccoli gruppi di droni controllati direttamente, è molto probabile che gli attuali sistemi C-UAS concepiti per un impiego urbano non siano in grado di aver ragione di un enorme sciame di droni in grado di volare in modo coordinato e di muoversi seguendo dati di rotta e di quota preimpostati, dunque anche in assenza di datalink. È facile immaginare uno scenario in cui decine o centinaia di piccoli droni pre-programmati si avvicinano da direzioni diverse, di notte, a luci spente, volando a quote basse, sfruttando gli ostacoli della città per evitare di essere rilevati fino all’ultimo momento, per poi convergere all’interno di un aeroporto creando delle vere e proprie barriere insormontabili per i velivoli in fase di decollo e atterraggio, con un’elevata probabilità che alcuni possano andare a impattare con i motori di un aereo provocandone la caduta. Per aumentare la pericolosità di tali droni, inoltre, basterebbe dotarli di elementi metallici duri (ad esempio delle biglie di ferro incollate alla fusoliera con del nastro adesivo) atti a provocare maggiori danni all’impatto con gli aerei. Attacchi simili potrebbero essere condotti anche “lanciando” i droni sul traffico di un’autostrada per provocare degli incidenti di massa, oppure su una folla radunata a un grande evento, dove probabilmente l’effetto panico provocherebbe molte più vittime dei droni stessi.
Questi esempi dimostrano come gli sciami di droni possano essere impiegati per attentati su larga scala, senza la necessità di apportare particolari modifiche ai piccoli velivoli. Certamente si possono ipotizzare anche attacchi di questo tipo impiegando droni dotati di congegni esplosivi che ne eleverebbero di molto la letalità, ma sul piano operativo tale soluzione sarebbe di gran lunga più complicata dal punto di vista logistico (sarebbe necessario ottenere e confezionare gli esplosivi, installarli su decine di droni, gestire il calo delle prestazioni dei velivoli a causa dell’aggravio di peso, ecc.), comporterebbe costi nettamente superiori ed esporrebbe gli attentatori a un rischio ben maggiore di essere scoperti, poiché dovrebbero trasportare materiale illegale, appunto l’esplosivo, anziché solo degli “innocui” droni giocattolo. In realtà definirli dei giocattoli è estremamente riduttivo, basti pensare che il Verge Aero X1, il modello impiegato per celebrare l’elezione di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti, è lungo 15 cm, pesa 1,9 kg, è dotato di un robusto telaio in fibra di carbonio e può volare per 20 minuti consecutivi affrontando venti fino a quasi 40 km/h. Inoltre, presenta un margine di errore nel posizionamento di soli 10 cm e può impiegare contemporaneamente diverse frequenze radio allo scopo di ridurre il rischio di perdita di contatto con l’operatore a terra.
Servono C-UAS anti-sciame adatti alla città
Un attacco con un vasto sciame rappresenterebbe una sfida difficile da affrontare anche per i sistemi anti-drone sviluppati per applicazioni militari, concepiti per contrastare velivoli dalle prestazioni dinamiche ben più elevate, dotati di datalink protetti e talvolta armati, ma comunque pensati per operare singolarmente o in gruppi relativamente esigui. Recentemente, il diffondersi di piccoli droni “kamikaze” ha evidenziato l’esigenza di sviluppare sistemi C-UAS in grado di contrastare rapidamente anche attacchi in sciame. In teatro operativo non vi sono le restrizioni imposte dall’impiego di un simile sistema in una città in tempo di pace. Per proteggere una base avanzata da attacchi di sciami, ad esempio, si prevede di impiegare jammer ad alta potenza e, se necessario, anche omnidirezionali; si potranno impiegare sistemi “hard kill”, come armi a tiro rapido e, nel prossimo futuro, persino armi a energia diretta (laser e microonde). L’impiego in città di tali sistemi, invece, rischierebbe di produrre danni collaterali inaccettabili e pertanto le regole di ingaggio ne limiterebbero l’efficacia.
Risulta dunque evidente la necessità di sviluppare sistemi C-UAS capaci di contrastare attacchi condotti con vasti sciami di droni e impiegabili in completa sicurezza anche all’interno delle città, allo scopo di proteggere in primis gli aeroporti, ma anche i grandi eventi e tutti quei luoghi dove si prevede il raduno di grandi folle. Tali sistemi, pertanto, dovrebbero essere facilmente dispiegabili e di rapido approntamento, con una flessibilità configurativa che consenta di adattarsi rapidamente allo scenario.
Fortunatamente, allo stato attuale un attacco con un grande numero di droni appare ancora improbabile, soprattutto perché risulterebbe difficile per un’organizzazione terroristica acquistare molte decine o centinaia di droni senza dare nell’occhio. Infatti, oggi gli sciami di droni vengono impiegati quasi esclusivamente da aziende che offrono i loro spettacoli a pagamento (uno show con 100 droni costa circa 50.000 dollari), ma ben presto questo tipo di attività diventerà appannaggio anche degli amatori, con l’impiego di droni sempre più economici (oggi un drone come l’X1 costa sui 300 dollari), e la maggiore diffusione aumenterà notevolmente anche il rischio di un impiego a scopo terroristico.