L’autonomia strategica dell’UE in rapporto all’eventuale riassetto della NATO, l’attuazione della PESCO Strategic Review 2000, il Mediterraneo e il Sahel come crocevia di tutte le crisi dell’area, fra minacce da contrastare e opportunità da cogliere: l’intervista di Laran al Presidente del Comitato Militare dell’Unione.
Unione Europea, Stati Uniti e NATO
L’ex-presidente statunitense Trump ha spesso definito la NATO “obsoleta” e ha sollevato con durezza la questione del “burden sharing”, la condivisione dei costi finanziari dell’Alleanza. Ciò ha indotto alcuni paesi europei, soprattutto la Francia, a spingere per dare maggior vigore al progetto volto al perseguimento di un’autonomia strategica per l’Unione Europea. Dall’attuale amministrazione Biden ci si aspetta un riavvicinamento agli alleati europei, ma il tema relativo a un riassetto della NATO dovrà comunque essere affrontato.
Come ritiene che il perseguimento dell’autonomia strategica europea possa coniugarsi con un eventuale riassetto della NATO nell’ottica di un più equo bilanciamento delle responsabilità in ambito transatlantico?
La NATO, forse una NATO diversa da come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi, continuerà ad essere un pilastro della difesa collettiva dell’Europa. Vorrei sottolineare che le due organizzazioni non sono sovrapponibili: la NATO è un’alleanza militare, mentre la UE è un’organizzazione internazionale politica ed economica a carattere internazionale che impiega tutti gli strumenti del potere, compreso quello militare. Avendo questo ben chiaro, i paesi europei hanno deciso di avviare una serie di iniziative europee nel campo della difesa e sicurezza comune in linea con il livello di ambizione stabilito. La costruzione di una difesa europea non è in contrapposizione all’Alleanza. Anzi, è importante capire che un’Europa più forte rende più forte la NATO. Su questo convincimento si basa il concetto del “Single set of Forces”, ossia l’allineamento dei piani finanziari e l’ottimizzazione delle risorse in modo che ogni euro investito per la difesa europea rafforzi ancor di più l’Alleanza Atlantica.
L’attuazione della PESCO Strategic Review 2020
Quali sono le priorità in termini di sviluppo capacitivo da perseguire per poter realizzare il Full Spectrum Force Package previsto dalla PESCO Strategic Review 2020?
Il 2020 è stato un anno traumatico nella storia mondiale, con uno shock più profondo di quello provocato nel 2001 dall’attacco alle Torri Gemelle. Non solo per la pandemia che ci ha costretto a una sfida globale senza precedenti, ma anche per le altre crisi che in Libia, in Siria, nel Mediterraneo orientale e nel Nagorno Karabach hanno visto altri stati come Russia e Turchia determinati ad imporre il proprio ruolo, mentre l’influenza statunitense si è ridotta. E tutto questo ha portato l’Europa a discutere in modo più costruttivo di sicurezza e difesa. Inoltre, la crisi che stiamo attraversando ha anche evidenziato chiaramente che alla fine di questa pandemia il mondo continuerà a presentare tutto lo spettro delle minacce, da quelle tradizionali – caratterizzate dai conflitti ad alta intensità – a quelle nuove poste dal terrorismo, dalla diffusa instabilità e dagli attacchi cyber, accompagnate – probabilmente amplificate – da minacce emergenti, ibride e inattese.
L’Unione dovrà essere in grado di poter operare autonomamente sia nei domini tradizionali sia nei nuovo domini, come il cyberspace. Per rispondere a questa esigenza nel breve e medio termine, un’ottima iniziativa è la Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO) volta a creare una maggiore integrazione della componente sicurezza e difesa realizzando sinergie tra lo sviluppo delle capacità militari e quelle industriali, attraverso progetti concreti a cui aderiscono 25 dei 27 paesi membri.
Il Mediterraneo come crocevia di tutte le crisi dell’area
Come si svilupperanno le politiche di difesa e sicurezza dell’Unione Europea nell’aerea mediterranea?
Ancora una volta vediamo che il Mediterraneo è il crocevia di tutte le crisi insistenti nell’area. L’Europa, ovviamente, pone molta attenzione a quest’area. Non è un caso che una delle principali operazioni CSDP, “Irini”, che opera nel Mare Nostrum, è stata lanciata a marzo dello scorso anno, durante la pandemia, a dimostrazione proprio di questa attenzione. Mi lasci dire che è chiaro a tutti i paesi membri che il Fianco Sud dell’Unione europea richiede un’attenzione particolare, perché è la finestra sul continente africano e il passaggio verso il Vicino Oriente. Proprio per queste ragioni, l’Europa promuove e sostiene la stabilità, la sicurezza e la prosperità dei paesi più vicini ai suoi confini attraverso le relazioni diplomatiche e il partenariato.
Il Sahel è la vera frontiera meridionale dell’Unione Europea
Le aree di instabilità nel continente africano rappresentano per l’Europa una fonte di minacce rispetto alle quali l’Unione Europea ha adottato, soprattutto nel Sahel, un approccio integrato incentrato su missioni di sostegno alla sicurezza, alla governance e allo sviluppo economico.
Ritiene che il peso della componente militare delle iniziative PESC (Politica Estera e di Sicurezza Comune) nell’area sia destinato a incrementare nei prossimi anni?
Come le dicevo, le diverse aree di crisi sono tutte tra loro collegate. Il Mediterraneo, ad esempio, per il tramite della Libia, che merita un discorso a parte, è collegato alle crisi africane. Proprio l’Africa e in particolare la macro regione del Sahel, che ritengo rappresenti la frontiera meridionale dell’Unione Europea, è un’area che non possiamo abbandonare al suo destino. Al contrario, è solo intervenendo alla radice dei problemi che potremo contribuire a stabilizzare un’area di crisi centrale nella gestione dei flussi migratori e del narcotraffico che, sotto il controllo delle reti criminali, risalgono fino alla Libia per sfociare nel Mediterraneo e approdare qui da noi.
Continuando in questa lettura a volo d’angelo, il passaggio dal Sahel all’Oceano Indiano attraverso il Golfo di Aden e il Mare Arabico è immediato, e questo mi permette di sottolineare alcuni elementi particolarmente interessanti:
• La persistente relazione triangolare tra instabilità, terrorismo e traffici illegali, primi fra tutti l’immigrazione incontrollata.
• Il consolidarsi della presenza, anche militare, della Cina in un’area – quella africana – che, con quella del Mar Cinese Meridionale, rivestirà negli anni a venire una centralità nel ridisegnare gli equilibri di forza fra le potenze mondiali.
• L’importanza delle operazioni marittime per il controllo e la sicurezza delle rotte commerciali.
È chiaro, quindi, che quelli che ci attendono sono anni interessanti, ricchi di sfide e opportunità, che potremo affrontare investendo in attività di “capacity building”, di partnership e dialogo strategico.
Quali sinergie si riescono a sviluppare tra le missioni UE e quelle missioni nazionali dei paesi membri come Barkhane?
Questo è un argomento molto interessante che mi permette di fare una riflessione attuale. Proprio in considerazione di quello che stavamo dicendo, si può – sempre più – parlare di regionalizzazione delle crisi. Non è infatti un caso che cinque delle sei missioni militari dell’UE siano attualmente operative in Africa o nella regione africana. In questo contesto è quindi necessario ottimizzare l’impegno dei paesi membri, perché deve essere chiaro che la difesa dell’Unione e dei suoi cittadini inizia proprio qui. La sinergia fra le missioni europee, gli impegni delle Nazione Unite e le iniziative nazionali come Barkhane vanno esattamente in questa direzione.