Benessere Organizzativo: da concetto a strumento di intervento

Gen 15 2021
Giovanni Costanza
Proviamo a chiarire come il concetto di B.O., proprio della psicologia delle organizzazioni, possa essere utilizzato come un mezzo per lo sviluppo della loro attività lavorativa. In questa pagina, il primo di quattro contributi.

Tratterò il tema in titolo con la pubblicazione di quattro contributi brevi che spero possano guidare il lettore che opera in strutture organizzative complesse, o che le gestisce, ad un approccio al benessere organizzativo che gli permetta di utilizzare questo concetto della psicologia delle organizzazioni come uno strumento di sviluppo del suo lavoro. Cercherò di chiarire come questo elemento possa promuovere la convivenza, la produttività e dare impulso al committment organizzativo. I contributi si articoleranno nel modo seguente:
Primo contributo: Linee generali e paradigmi di riferimento del benessere organizzativo;
Secondo contributo: Specificità dei percorsi di sviluppo del benessere organizzativo;
Terzo contributo: Costi e benefici dello sviluppo del benessere organizzativo;
Quarto Contributo: Un case study.

Primo contributo: Linee generali e paradigmi di riferimento del benessere organizzativo

Il Benessere Organizzativo (B.O. nel resto del testo) è un elemento di sviluppo organizzativo connotato dalla complessità; non considerarne questo aspetto rischia di vanificare gli effetti dell’impegno che un’organizzazione può attivare in questa direzione.
Il B.O. venne promosso in Italia all’inizio di questo secolo attraverso la L.165/2001, e la nostra legislatura ne fa riferimenti fino al 2018 con il Piano Nazionale di prevenzione 2014 -2018. In questo periodo risalta una specifica del DPR n°62/2013 in cui si legge all’art.13: “Il dirigente cura, compatibilmente con le risorse disponibili, il benessere organizzativo nella struttura a cui è preposto, favorendo l’instaurarsi di rapporti cordiali e rispettosi tra i collaboratori, assume iniziative finalizzate alla circolazione delle informazioni, alla formazione e all’aggiornamento del personale, all’inclusione e alla valorizzazione delle differenze di genere, di età e di condizioni personali”.
La rilevanza del B.O. è evidenziata anche nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 26/5/2016 e dalla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 19/8/2016. Tra gli studiosi italiani di psicologia del lavoro e delle organizzazioni che hanno maggiormente approfondito il tema del B.O. c’è il prof. Francesco Avallone che, oltre a un’importante produzione scientifica sul tema, ha collaborato con il governo nazionale per l’applicazione nelle pubbliche amministrazioni delle direttive relative al B.O.

Gli elementi che definiscono il concetto che stiamo approfondendo si possono relativizzare a 2 ambiti:
1. Lo stato di salute generale dei lavoratori di un’organizzazione. Salute intesa negli orientamenti dell’OMS[1] come: “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia. È considerato un diritto e come tale si pone alla base di tutti gli altri diritti fondamentali che spettano alle persone”;
2. L’insieme dei fattori che contribuiscono a determinare, il benessere di chi lavora.

Le organizzazioni producono, oltre a beni e servizi, anche effetti sui lavoratori che ne fanno parte, e noi ci interesseremo di analizzare come questa caratteristica possa generare dei benefici nelle organizzazioni che intervengono su questi fattori generativi.
Se cerchiamo una definizione operativa del B.O. ci imbattiamo, soprattutto nel mondo anglosassone, in vari inventari in cui si indicano gli elementi che lo caratterizzano e ne sostengono i risultati.
All’interno di questi inventari troviamo in maniera trasversale dei “pillars” quali:

• Attenzione e promozione della salute;
• Contrasto alle discriminazioni;
• Qualità del lavoro (connotazioni che rendono agevole lavorare come l’ergonomia, i luoghi di lavoro, le politiche di gestione, l’orario, la formazione, l’autonomia etc. etc.);
• Valori dell’organizzazione;
• Qualità delle relazioni nell’organizzazione;
• Attenzione allo sviluppo del personale;
• Buone scelte degli stili di vita;
• Condivisione e chiarezza degli obiettivi organizzativi;
• Opportunità di formazione evoluta;
• Coinvolgimento dei lavoratori per migliorare attraverso le loro competenze la produttività;
• Valutazione e limitazione dei rischi lavorativi;
• Struttura organizzativa chiara; Chiarezza delle policy aziendali.

Riprenderò tra qualche riga le connotazioni di questi inventari; intanto propongo una prima definizione spendibile per l’obiettivo di questo lavoro (rendere il B.O. un concetto utilizzabile per migliorare convivenza e produttività nelle organizzazioni). La definizione è la seguente: “Il B.O. è l’insieme dei nuclei culturali, dei processi e delle pratiche organizzative che animano la dinamica della convivenza nei contesti di lavoro promuovendo, mantenendo e migliorando la qualità della vita e il grado di benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità di lavoratori”.[2] In questa definizione si ritrova l’approccio alla complessità che considera i risultati di un sistema connessi all’interazione (spesso non lineare) di differenti elementi.
Tra gli elementi che caratterizzano la complessità nelle organizzazioni non si può non considerare il momento storico e lo spirito del tempo che le traversa. In riferimento al mondo del lavoro attuale nel nostro paese, l’ultimo rapporto Censis del dicembre 2020, dopo aver dettagliato la situazione del lavoro in Italia, osserva: “Con queste cifre potrebbe non essere del tutto infondata la tesi che insicurezza, precarietà e aspettative negative nei confronti delle opportunità di crescita professionale e di ritorno in termini di reddito si condensino in una certa disaffezione nei confronti del lavoro e che la sfera lavorativa perda sempre più centralità nella vita delle persone, soprattutto se giovani”[3]. Questo rimando conferma la necessità di una chiave di lettura non approssimativa con cui analizzare i fenomeni legati al lavoro, e che tale lettura debba tenere in conto anche le rappresentazioni sociali che danno forma ai modi con cui la realtà lavorativa è interpretata e condivisa dalle persone di un’organizzazione o del contesto in cui opera.

Allievi dell’Accademia Navale sulla nave scuola Amerigo Vespucci della Marina Militare.
Allievi dell’Accademia Navale sulla nave scuola Amerigo Vespucci della Marina Militare.

Tornando agli inventari descrittivi (certamente più articolati e dettagliati di quanto sinteticamente riportato), dobbiamo considerare il rischio che comportano, per la loro apparente facilità, di apparire la ricetta per un’applicazione delle componenti, tutt’altro che semplici, che li caratterizzano.
Questo rischio è interessante perché ripropone il non sempre risolto problema della distanza dell’operatore dal prodotto del suo lavoro. Sappiamo che la motivazione al lavoro non si esaurisce nell’ambito economico e che le persone nel lavoro cercano, trovano e costruiscono altri elementi caratterizzanti della loro esperienza sociale (tanto per citarne alcuni: amicizie, potere, conflitti, realizzazione etc.); questo avviene anche oggi che il lavoro da remoto sta affiancando (ove possibile) quello in presenza; inoltre, lo spirito del tempo in un periodo di globalizzazione come l’attuale spinge alla forte standardizzazione dei processi lavorativi. In questa direzione, una connotazione sempre più marcata nelle organizzazioni è il diffondersi al loro interno di procedure standard di lavoro che riguardano tutte le aree produttive. L’uso delle procedure sicuramente sostiene la correttezza dei processi produttivi in termini di qualità, rapidità, sicurezza ed economicità; questo assicura la bontà dei risultati ma, oltre alle indiscutibili positività a cui non si deve rinunciare, l’uso di procedure virtuose porta con sé una complessità nel rapporto tra individuo, lavoro e organizzazione. Le procedure infatti sono pensate, sperimentate, verificate e ottimizzate da esperti che utilizzano la loro conoscenza tecnica per fornire, spesso con ottimi risultati, le migliori procedure possibili agli altri lavoratori del loro settore. La qualità progettata è fornita agli operatori che le declinano nel loro lavoro quotidiano. Tutto bene, ma nel corso del tempo questa applicazione delle procedure pensate da altri diviene, per la ripetitività intrinseca e perché non necessita l’uso della propria competenza professionale, un assolvimento di compito che allontana le persone dalla valorizzazione quotidiana della propria esperienza di lavoro. La percezione che ne può derivare potrebbe essere l’impoverimento del valore della propria storia lavorativa.

Questo depotenziamento del valore della propria storia lavorativa facilita l’idea che nel lavoro non abbia senso investire la propria specificità e che l’unico valore di riferimento sia quello economico, che diviene il metro di valorizzazione di un’esperienza molto articolata e complessa quale il lavoro, mettendo in secondo piano altre componenti valoriali come il senso dell’impegno quotidiano, le relazioni con i colleghi, le dinamiche del contesto organizzativo etc. A seguito di questi passaggi, il B.O., rispetto alla definizione presentata, si è “impoverito” in alcune componenti come i nuclei culturali ed il grado di benessere psicologico delle comunità di lavoratori; il tutto, senza che ci sia stata volontà di impoverimento da parte di nessuno degli attori dell’organizzazione. Di questa contraddizione avremo occasione di parlare più avanti per avvicinarci all’obiettivo del nostro percorso.
La riduzione del lavoro al suo solo valore economico richiama la maledizione biblica “Ti procurerai il pane con il sudore del tuo volto finché tornerai alla terra dalla quale sei stato tratto” [4], alludendo al lavoro come ad una parte dell’esistenza in cui non è possibile la soddisfazione o il riconoscimento di senso o la soddisfazione dei desideri, ma unicamente la fatica eterna per “un pezzo di pane”.

Concludo il primo contributo con la definizione di B.O. che ritengo utilizzabile ai fini di questo scritto, quella dell’Agenzia Europea per la Salute e Sicurezza del Lavoro, che definisce il Benessere Organizzativocome un “concetto di sintesi che caratterizza la qualità della vita lavorativa, compresi gli aspetti di salute e sicurezza del lavoro; può essere il maggior fattore determinante per la produttività ai livelli individuali, aziendali e sociali”.[2]
È interessante notare come l’agenzia europea deputata alla Salute e Sicurezza del Lavoro ponga attenzione al B.O. sottolineando la connessione virtuosa tra qualità della vita lavorativa, i vari livelli di produttività e la Salute e Sicurezza del Lavoro. … Alla prossima.


NOTE AL TESTO:

[1] Organizzazione Mondiale della Sanità.
[2] A cura di F. Avallone e M. Bonaretti: Benessere organizzativo. Per migliorare la qualità del lavoro nelle amministrazioni pubbliche, Rubbettino Editore, Roma 2003, p. 42).
[3] 54° Rapporto sulla situazione sociale del paese – 2020, p. 20
[4] Bibbia Genesi 3 – 19
[5] Wellbeing at work. Creating a positive work environemnt, EU-OSHA 2013

2 Replies to “Benessere Organizzativo: da concetto a strumento di intervento”

  1. Buongiorno,
    conto di completare questo ciclo sul benessere organizzativo entro il mese di luglio.
    Cordiali saluti
    Giovanni Costanza

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