I recenti accordi militari ed economici fra Taipei e Washington hanno provocato un ulteriore peggioramento delle relazioni fra USA e Cina. Per comprendere appieno la situazione attuale e provare a immaginarne gli sviluppi futuri, anche alla luce dell’elezione di Joe Biden alla Casa Bianca, è necessario fare un passo indietro e capire dove origina la crisi fra “Le due Cine” e quale parte hanno storicamente giocato gli Stati Uniti in tale contesto.
Alla base dei nuovi contrasti fra Cina e Stati Uniti vi è una serie di pacchetti di sistemi d’arma di cui l’amministrazione Trump ha approvato la vendita a Taiwan nell’ambito del programma Foreign Military Sales (FMS) del Pentagono. La prima di queste potenziali vendite (potenziali perché richiedono l’approvazione del Congresso) risale alla scorsa estate e aveva per oggetto 66 caccia F-16V per circa 8 miliardi di dollari. Il seguente pacchetto, da 1,8 miliardi di dollari, è stato annunciato il 21 ottobre e comprendeva 135 missili AGM-84H SLAM-ER (Standoff Land Attack Missile-Expanded response), 11 lanciarazzi M142 HIMARS (High Mobility Artillery Rocket Systems) con 64 missili superficie-superficie M57 ATacMS (Army Tactical Missile Systems) e 6 set di pod MS-110 di Collins Aerospace per la trasmissione in tempo reale di dati e immagini ad aerei e stazioni di terra. Gli AGM-84H e gli MS-110 potrebbero equipaggiare i nuovi F-16 dell’Aeronautica di Taiwan (che ha già 140 di questi aerei in linea). A seguire, il 26 ottobre, il Dipartimento di Stato degli USA ha autorizzato la vendita a Taipei di un ulteriore pacchetto di sistemi d’arma, composto da 400 missili antinave Harpoon Block II, 100 Harpoon Coastal Defense System Launcher Transporter Units, 25 camion radar e 4 missili per esercitazioni, per un valore complessivo di 2,37 miliardi di dollari.
La reazione della Cina non si è fatta attendere: Zhao Lijian, portavoce del ministero degli Esteri, ha dichiarato alla stampa che il governo cinese non avrebbe esitato a sanzionare i produttori statunitensi (inclusi colossi del calibro di Boeing, Lockheed Martin e Raytheon) dei pacchetti di armi a Taiwan. Oltre alle aziende, sarebbero state sanzionate anche singole personalità associate a tali vendite. Tuttavia, non sono stati forniti chiarimenti sulla tipologia di queste penalità. Dal canto suo, il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Morgan Ortagus, ha dichiarato che “gli sforzi di Pechino per vendicarsi contro le società statunitensi e straniere per le loro vendite a supporto dei legittimi requisiti di autodifesa di Taiwan sono improduttivi”, evidenziando come tali sanzioni ricadrebbero sulle società statunitensi per aver stipulato un contratto con il governo del loro stesso paese nell’ambito del programma FMS sopra citato. La presa di posizione della Cina, definita inaccettabile, secondo Ortagus “riflette una totale mancanza di comprensione della natura di gran parte della cooperazione americana in materia di sicurezza”.
A peggiorare la situazione, il 3 novembre (giorno delle presidenziali negli USA) è stata notificata al Congresso la possibile vendita a Taiwan di 4 droni armati MQ-9B e rispettivi equipaggiamenti per un valore di 600 milioni di dollari. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin ha dichiarato che tale decisione “interferisce brutalmente negli affari interni della Cina e mina gravemente la sua sovranità e i suoi interessi in materia di sicurezza”, sostenendo come gli Stati Uniti dovrebbero invece annullare le vendite di armi a Taiwan allo scopo di “evitare ulteriori danni alla relazioni con la Cina e alla pace e alla stabilità nello Stretto di Taiwan”. Ancora, l’amministrazione Trump (sebbene ormai uscente) ha prima inviato a Taiwan un team del Marine Raiders Regiment, giunto sull’isola il 9 novembre per addestrare i reparti anfibi locali (la prima iniziativa del genere dal 1979), quindi ha invitato una delegazione di Taipei per la prima edizione dell’US-Taiwan Economic Prosperity Partnership Dialogue che si è svolto il 20 novembre a Washington.
Per Wang, i tentativi di Washington di deteriorare i rapporti tra “le due sponde” dello stretto sono destinati a fallire. Gli USA hanno inviato il direttore dell’intelligence del Comando dell’Indo-Pacifico delle forze armate statunitensi, il rear admiral Michael Studeman, in visita a Taiwan. Il ministero degli Affari Esteri di Taiwan ha confermato l’arrivo di un funzionario statunitense senza specificarne il nome, aggiungendo che non avrebbe rilasciato commenti al riguardo. A seguito di questa mossa, la Cina ha nuovamente espresso con fermezza l’opposizione a qualsiasi forma di interazione fra Taiwan e Stati Uniti. Ma qual è il reale ruolo di Taiwan in questo contesto geopolitico? Da cosa deriva la controversia circa la sua indipendenza e il suo conflitto con la Cina?
Taiwan e Cina: due Stati legati da un passato antico
Taiwan è comparso per la prima volta nei registri della Cina nel 239 d.C. e da allora i due paesi sono legati fra loro.
La dinastia cinese dei Qing ha governato l’isola dal 1683 al 1895 e, dopo averla ceduta al Giappone a seguito della sconfitta subita da questo nella prima Guerra Sino-Giapponese, la Cina l’ha riannessa dopo la Seconda guerra mondiale, con il consenso di Regno Unito e Stati Uniti.
La rivoluzione comunista guidata da Mao Zedong ha portato alla fine del vigente governo del leader cinese Chiang Kai-Shek, il quale, fuggito dal paese, si è insediato sull’Isola di Taiwan nel 1949 con il resto dell’esecutivo e da lì ha continuato a governare. Il partito Kuomintang ha influenzato la politica locale per decenni, e solo nel 2000, a seguito di un processo di democratizzazione, si è giunti alla prima elezione di un presidente non legato al partito, Chen Sui-Bias. Dal canto suo, la Cina non ha mai smesso di mirare all’annessione di Taiwan e di provare a persuadere quest’ultimo ad accettare tale soluzione attraverso proposte di larga indipendenza e autosufficienza sotto il governo cinese, proposte che Taipei ha sempre prontamente rifiutato.
Taiwan: territorio cinese o Stato autonomo?
Arrivando ai giorni nostri, possiamo affermare con sicurezza che Taiwan è uno Stato e, in quanto tale, un soggetto del diritto internazionale? Assolutamente sì. La mancanza di riconoscimento a livello internazionale, dovuta alla pressione esercitata dalla potente Cina su nazioni, compagnie e istituzioni internazionali, così come anche organizzazioni, non ci deve distogliere dal fatto che Taiwan possiede gli unici due prerequisiti legalmente riconosciuti come necessari per essere uno Stato: indipendenza ed efficacia. Esso possiede infatti la propria Costituzione, le proprie forze armate e i propri leader politici democraticamente eletti, ovvero tutte le caratteristiche di uno Stato sovrano. In effetti, l’assenza del riconoscimento da parte della maggioranza della comunità internazionale (l’eccezione è costituita da 14 Stati membri delle Nazioni Unite) non deriva da una effettiva carenza, bensì dall’influenza, soprattutto economica, che la Cina esercita sugli Stati che ne fanno parte. Quest’ultimi, fra l’altro, a livello informale rispettano la sovranità territoriale di Taiwan e adottano vie più discrete per relazionarsi con Taipei.
Taiwan e la comunità internazionale: gli alti e i bassi degli Stati Uniti
Resta il fatto che non di rado l’Isola venga esclusa da iniziative internazionali. Il governo di Taiwan non è stato invitato al 73° incontro dell’organo decisionale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’Assemblea Mondiale della Sanità, che si è tenuto dal 9 al 14 novembre per trattare il problema della pandemia di Coronavirus. Il ministero degli Affari Esteri taiwanese ha accusato la Cina continentale di essere responsabile di tale esclusione.
Gli Stati Uniti hanno riconosciuto Taiwan come soggetto della comunità internazionale per trent’anni, ritrattando la loro posizione nel 1979, anch’essi per motivi di convenienza. Negli anni ’80 Washington aveva dichiarato che non avrebbe fornito armi a Taipei, salvo poi diventarne fra i maggiori alleati e sostenitori, come anche i recenti accordi hanno dimostrato.
I governi di Cina e USA hanno sottolineato come i recenti attriti causeranno un significativo impatto sulle loro relazioni, già duramente provate. La tensione tra le due superpotenze sale; la Cina ha incrementato il numero di esercitazioni militari nello stretto di mare che la divide da Taiwan, mentre le navi statunitensi lo attraversano con sempre maggiore frequenza e l’Isola rischia di diventare teatro di uno scontro fra titani dalle conseguenze devastanti.
In un contesto così difficile, viene naturale chiedersi quali saranno i possibili cambiamenti con l’arrivo alla Casa Bianca della nuova amministrazione guidata da Joe Biden, ma per ora è impossibile rispondere con certezza. Benché la maggior parte degli analisti concordi nell’attendersi da Washington prese di posizione più moderate e un rafforzamento degli strumenti diplomatici, è difficile pensare a un totale cambiamento di rotta. Recentemente, Henry Kissinger, il celebre ex consigliere per la sicurezza nazionale e segretario di Stato delle amministrazioni Nixon e Ford (1969-1977), ha dichiarato che se le due superpotenze continueranno a condurre politiche aggressive e minacciose, l’eventualità di una catastrofe paragonabile a quella delle due guerre mondiali si farà sempre più concreta. In conclusione, sarà solo il tempo a darci le risposte e a dirci quale sarà il futuro di Taiwan e, di conseguenza, delle relazioni fra Cina e Stati Uniti.