Forte dell’appoggio ufficioso ma concreto dell’Eritrea, l’esercito etiope ha potuto attaccare la Regione del Tigrai anche da nord, arrivando rapidamente alla capitale. In cambio Addis Abeba starebbe consegnando ad Asmara gli esuli oppositori del regime eritreo.
Distratto dalla pandemia, dalla resistenza di Trump ad accettare la sconfitta elettorale, dalla morte di Maradona, il mondo ha finora lanciato solo un’occhiata distratta alla guerra che si sta combattendo nel Tigrai, ma la situazione è di eccezionale gravità e il rischio di un’ecatombe è concreto.
Dall’inizio dell’offensiva, il governo etiope, guidato da Abiy Ahmed Ali (figlio di padre musulmano oromo e di madre cristiana amhara) ha sospeso l’erogazione dei servizi internet, telefonico ed elettrico in tutta la regione del Tigrai, rendendo impossibili le comunicazioni verso l’esterno e, dunque, impedendo la diffusione di notizie direttamente verificabili su ciò che sta avvenendo. Pertanto, gran parte delle informazioni sulle quali si basa questo articolo le abbiamo ottenute da persone della diaspora tigrina che sono riuscite a mettersi in contatto con familiari e amici fuggiti dal Tigrai e rifugiatisi nelle regioni confinanti o in Sudan.
Il determinante sostegno dell’Eritrea all’offensiva governativa
Stando alle testimonianze che abbiamo raccolto, l’ENDF (Ethiopian National Defence Force) e le milizie della Regione Amhara, non solo avrebbero attaccato il Tigrai da sud e da est, in direzione della capitale regionale Macallè, ma avrebbero aperto un fronte anche a nord, dal confine eritreo.
Testimoni eritrei affermano che nei giorni precedenti all’offensiva, diverse centinaia di militari etiopi sarebbero stati trasportati in Eritrea con voli dell’Ethiopian Airlines sbarcando ad Asmara per poi raggiungere il confine del Tigrai a bordo di veicoli civili. Membri delle forze speciali etiopi sarebbero stati visti sbarcare all’Aeroporto di Assab, anche in questo caso da un volo Ethiopian Airilines.
Testimoni riferiscono che il governo eritreo ha ordinato alla popolazione civile delle cittadine di Tsorona e Senafe, prossime al confine, di mettere a disposizione i propri veicoli per lo spostamento delle truppe etiopi.
È proprio nel tentativo di rallentare l’afflusso da nord di rinforzi dell’ENDF e dei relativi supporti logistici che si inquadra la serie di attacchi lanciati dal Tigrai con razzi (presumibilmente BM-21 catturati con l’occupazione del Comando Settentrionale dell’ENDF a Macallè) contro l’Aeroporto di Asmara (il 14 e il 27 novembre), la cittadina di Decamerè e la zona di Adi Halo (il 27 novembre). Colpite più volte anche le cittadine di Senafe, Tsoronoa e Adi Quala (anch’essa vicina al confine col Tigrai), dove si sarebbero concentrate le truppe etiopi prima dell’attacco.
L’offensiva da nord avrebbe visto le forze governative avanzare abbastanza rapidamente e attraversare diversi villaggi, dove, secondo quanto ci è stato riferito, sarebbero stati giustiziati per rappresaglia numerosi civili tigrini “prelevati dalle loro case e uccisi davanti ai figli piccoli”. Diversi militari etiopi feriti in combattimento sarebbero stati trasferiti negli ospedali eritrei di Decamerè, Hagaz e Senafe.
Secondo quanto dichiarato dal leader del Tigrai, Debretsion Gebremichael, le forze tigrine hanno catturato alcuni soldati eritrei, provando così la il coinvolgimento diretto di Asmara nel conflitto.
L’attacco su Macallè
L’avanzata dell’ENDF è proseguita, sebbene incontrando una forte resistenza, anche dalle direttrici est e sud, dove le forze governative avrebbero fatto largo uso di attacchi aerei e bombardamenti di artiglieria. Le perdite sarebbero elevate da entrambe le parti.
Il 28 novembre l’ENDF ha sottoposto la capitale tigrina Macallè a un pesante e prolungato bombardamento aereo e d’artiglieria, che avrebbe provocato migliaia di vittime civili (la città è densamente popolata e conta circa 500.000 abitanti), successivamente l’esercito etiope sarebbe entrato nella città occupandone il centro.
“Sono lieto di farvi sapere che abbiamo concluso e messo fine all’operazione militare nella regione del Tigray. Il nostro obiettivo ora sarà ricostruire la regione e fornire assistenza umanitaria mentre la polizia federale arresta la cricca del TPLF (Fronte Popolare per la Liberazione del Tigrai)” ha scritto in un tweet Abiy nel tardo pomeriggio del 28 novembre.
Per dimostrare che la città è caduta, l’ENDF ha riferito di aver liberato circa 7.000 militari catturati in seguito all’occupazione del Comando Settentrionale da parte delle forze tigrine avvenuto il 4 novembre. Riguardo a tale episodio, che ha dato il via all’offensiva di Addis Abeba, è interessante notare che il governo del Tigrai aveva fin da subito sostenuto che i comandanti e i membri di tale comando si erano volontariamente uniti alle forze regionali, mentre Addis Abeba affermava che le unità del Comando Settentrionale resistevano e contrattaccavano le forze del TPLF.
Non è possibile verificare se la battaglia per Macallè sia ancora in corso nella periferia o se le forze tigrine abbiano optato per una ritirata strategica per evitare un sanguinoso scontro porta a porta che, comunque, le avrebbe alla fine viste soccombere.
Verso la guerriglia
Il governo della Regione si era preparato al meglio per questo conflitto che percepiva come sempre più probabile a causa delle politiche di Abiy tese a ridurre progressivamente le forti autonomie regionali previste dalla Costituzione etiope (la quale prevede il diritto all’autodeterminazione e persino alla secessione) e che è sembrato inevitabile da quando lo scorso settembre Addis Abeba si è rifiutata di riconoscere l’esito delle elezioni regionali organizzate dal TPLF in collaborazione con gli altri partiti del Tigrai, anche di opposizione, nonostante il rinvio ordinato dal governo centrale a causa della pandemia.
Già un paio di settimane prima dell’inizio del conflitto (scoppiato il 4 novembre) la Regione del Tigrai aveva richiamato in servizio i combattenti del conflitto con l’Eritrea (1998-2000) e i “miliscia”, gli anziani veterani della guerra civile contro il regime di Menghistù (1974-1991). Questi ultimi sono esperti di guerriglia e, data la loro età, è probabile che abbiano soprattutto la funzione di passare la loro esperienza ai giovani, insegnando loro le tattiche e svelando i nascondigli utilizzati all’epoca della guerra civile e che sarebbero ancora in parte attrezzati.
Contattato dalla Reuters in merito al vittorioso annuncio di Abiy, la sera del 28 novembre il leader tigrino Debretsion Gebremichael ha dichiarato: “la loro brutalità può solo rafforzare la nostra determinazione a combattere questi invasori fino all’ultimo (…) si tratta di difendere il nostro diritto all’autodeterminazione”. Appare dunque molto probabile che questo conflitto, combattuto finora in modo convenzionale da forze regolari, si trasformi in una guerriglia che potrebbe durare anni ed espandersi in territorio eritreo, con l’obiettivo finale di riunificare la nazione tigrina creando lo stato indipendente del Grande Tigrai, riunificando le due aree della regione divise dal confine tra Etiopia ed Eritrea.
Le deportazioni di rifugiati politici eritrei
Il prezioso aiuto fornito dal regime eritreo, sarebbe stato premiato dal governo di Abiy con una campagna di deportazione di esuli eritrei che avevano trovato rifugio in Etiopia. Testimoni riportano che l’ENDF ha preso il controllo del confine tra il Tigrai e il Sudan, impedendo a tutti i cittadini di etnia tigrina di varcare il confine. L’identità di queste persone sarebbe controllata sistematicamente per identificare i cittadini eritrei ritenuti oppositori del dittatore Isaias Afewerki, i quali sarebbero arrestati allo scopo di consegnarli alle forze di sicurezza eritree.
Contemporaneamente si segnalano numerosi arresti di tigrini nella capitale Addis Abeba e di diversi rifugiati politici eritrei, anche non tigrini, tra cui alcuni membri di rilievo dei movimenti Eritrean Salvation Front, Red Sea Afar Democratic Organization, e SAGHEM. Almeno una decina di questi sarebbero stati deportati per via aerea ad Asmara. Arresti di oppositori del regime di Isaias si sarebbero verificati anche nei campi profughi di Adi Harish (nel su del Tigrai) e Shimelba (al confine col Sudan), zone sotto il controllo dell’ENDF.
Se effettivamente il TPLF darà vita a una guerriglia transfrontaliera per l’indipendenza dell’intero Tigrai, questo strano sodalizio tra il premio Nobel per la Pace Abiy e il feroce dittatore Isaias, non potrà che rafforzarsi.
La comunità internazionale deve intervenire
Il timore che a Macallè e nell’intera regione del Tigrai si verifichino uccisioni di massa di civili è piuttosto diffuso nella comunità tigrina, dove molti non esitano a evocare lo spettro del genocidio. Del resto questo conflitto ha delle evidenti connotazioni etniche, a cominciare dalla partecipazione ai combattimenti delle Milizie della Regione Amhara al fianco delle forze federali.
Appare dunque urgente un intervento della comunità internazionale per tentare di convincere Addis Abeba ad accettare l’immediato invio in Tigrai di ispettori delle Nazioni Unite che possano verificare il rispetto dei diritti umani nella regione, a cominciare da Macallè, ma anche nei campi profughi e lungo il confine col Sudan.
È fondamentale che il governo federale dimostri di non aver nulla da nascondere, cominciando con il ripristino immediato dei servizi di telecomunicazione e consentendo l’afflusso di aiuti umanitari. Anche l’Unione Europea dovrebbe cercare di esercitare la massima pressione su Addis Abeba affinché consenta un rapido intervento della comunità internazionale a sostegno e garanzia della popolazione del Tigrai, senza il quale, tra l’altro, è probabile che nei prossimi mesi si verifichino nuovi esodi di massa verso il Vecchio Continente.