Sei mesi dopo la notifica inoltrata il 22 maggio 2020, è diventato effettivo il recesso di Washington dall’accordo che i suoi alleati europei considerano un indispensabile strumento per l’architettura di controllo degli armamenti convenzionali e la sicurezza cooperativa nel Vecchio Continente.
A partire dal 22 novembre, gli Stati Uniti non sono più parte del Trattato sui Cieli Aperti (Treaty on Open Skies), l’accordo entrato in vigore il 2 gennaio 2002 che consente a ciascuno dei paesi firmatari di condurre voli di ricognizione disarmati sui territori di tutti gli altri e di usufruire delle informazioni da questi raccolte con le stesse modalità. Il recesso degli USA è diventato effettivo con il decorso dei sei mesi previsti dalla notifica della decisione, inoltrata dalla Casa Bianca lo scorso 22 maggio. Il segretario di Stato, Mike Pompeo, ha commentato su Twitter: “[Grazie a questo passo] oggi l’America è più sicura, poiché la Russia continua a non rispettare i suoi obblighi.”
Lo stesso Pompeo aveva spiegato il 21 maggio le motivazioni alla base della mossa dell’amministrazione Trump: “Mentre gli Stati Uniti, assieme ai suoi alleati e partner firmatari del Trattato, hanno rispettato i loro impegni e obblighi derivanti dallo stesso, la Russia lo viola da anni flagrantemente, continuamente e in vari modi. Questa storia purtroppo non riguarda soltanto il Trattato sui Cieli Aperti, perché la Russia è stata un violatrice seriale di molti dei suoi obblighi e impegni in materia di controllo degli armamenti.” Contestualmente, una nota del Pentagono spiegava: “Dopo un’attenta valutazione che ha tenuto conto anche dei suggerimenti degli alleati e dei partner più importanti, è diventato abbondantemente chiaro che non è più nell’interesse degli Stati Uniti restare parte di questo Trattato quando la Russia non mantiene i propri impegni.”
Le preoccupazioni degli alleati europei degli USA
In particolare, Washington ha accusato Mosca di aver rifiutato l’accesso allo spazio aereo sui territori in cui si svolgevano esercitazioni militari russe, o sulle località in cui ha dispiegato armi nucleari. Oltre alle mancate autorizzazioni, la Casa Bianca ha rimproverato all’avversario di sfruttare le proprie ricognizioni aeree per raccogliere informazioni su infrastrutture statunitensi che potevano diventare oggetto di attacchi cibernetici, presentando prove di intelligence al riguardo in occasione di un meeting svoltosi a Bruxelles nel novembre 2019. In quell’occasione, secondo quanto riportato dal sito Defense News, gli inviati di Washington chiesero agli alleati europei di valutare se valesse la pena tenere ancora in vita il Trattato, che ormai giudicavano un pericolo per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti.
Gli europei hanno però reagito alla richiesta del potente alleato con una levata di scudi in difesa di “Open Skies”, che considerano uno dei pochi strumenti rimasti per la costruzione di fiducia reciproca e di un’architettura di sicurezza tra i paesi firmatari, dei quali consente di monitorare le violazioni affinché gli autori siano chiamati a risponderne. Il giorno seguente all’annuncio di Trump, i ministri degli esteri di 10 paesi dell’Unione Europea (Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Spagna e Svezia), 8 dei quali membri della NATO (Finlandia e Svezia le eccezioni) rilasciarono una dichiarazione congiunta nella quale, pur affermando di condividere le preoccupazioni degli Stati Uniti circa il rispetto del trattato da parte della Russia, esprimevano rammarico per la decisione di Washington di ritirarsi e ribadivano la propria volontà di mantenere l’adesione al patto, definendolo “un elemento cruciale del quadro di rafforzamento della fiducia che è stato creato nei decenni passati allo scopo di migliorare la trasparenza e la sicurezza nell’area euro-atlantica. Continueremo ad attuare il Trattato sui cieli aperti, che ha un chiaro valore aggiunto per la nostra architettura di controllo degli armamenti convenzionali e per la sicurezza cooperativa. Riaffermiamo che questo trattato rimane funzionante e utile”.
La “lettera dei 16” dell’ELN e l’opzione satellitare degli Stati Uniti
Contestualmente, i 10 paesi avevano invitato la Russia a revocare le restrizioni sui voli, in particolare sulla regione di Kaliningrad che si estende fra i territori di due alleati della NATO, la Lituania e la Polonia. In effetti, i paesi europei dell’Alleanza Atlantica temevano anche che, una volta che gli Stati Uniti fossero usciti dal Trattato, la Russia avrebbe bloccato i loro voli, privandoli di un prezioso strumento di sorveglianza dei propri confini. La preoccupazione venne espressa anche in una dichiarazione congiunta di 16 alti ufficiali a riposo ed ex funzionari della Difesa (inclusi tre italiani: l’ambasciatore Giancarlo Aragona, ex segretario generale dell’OSCE; il generale Vincenzo Camporini, ex Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare e della Difesa; l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, ex Capo di Stato Maggiore della Marina Militare e Capo di SMD, nonché ministro della Difesa), coordinati dall’European Leadership Network (ELN). Nel documento, pubblicato il 12 maggio, si affermava che i sorvoli compiuti nell’ambito di “Open Skies” comportano benefici in materia di intelligence e di incremento della fiducia reciproca fra gli Stati firmatari. Si aggiungeva, inoltre, che tali benefici erano limitati per gli Stati Uniti ma significativi per gli altri membri della NATO, e che anche i vantaggi strategici per gli USA derivanti dalla stabilità della regione euro-atlantica erano concreti. Con queste premesse, i firmatari chiedevano agli Stati Uniti di riconsiderare la decisione di ritirarsi da “Open Skies” e, allo stesso tempo, invitavano i paesi europei a fare ogni sforzo per rimanere nel Trattato e a farsi trovare pronti all’eventuale abbandono degli USA.
A livello di cancellerie, il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, affermò che la Germania si sarebbe impegnata a fondo con i partner desiderosi di preservare il Trattato (incluse Francia e Regno Unito) per far sì che gli Stati Uniti riconsiderassero la loro decisione di recedere. Tale sforzo non ha avuto successo, anche perché la scelta di Washington non è dovuta unicamente alle violazioni imputate ai russi, come ammise lo stesso Pompeo il 21 maggio, ma anche al fatto che gli USA potranno ottenere le immagini che prima raccoglievano con i voli di ricognizione attraverso l’impiego di mezzi satellitari, per di più a un costo inferiore.
Il Cremlino chiede garanzie legali ai paesi che restano del Trattato
In risposta alla mossa di Washington, Mosca ha accusato quest’ultima di infrangere slealmente gli accordi e ha sollevato questioni legali. All’inizio di novembre, il ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha chiesto ai paesi NATO che rimarranno nel Trattato sui Cieli Aperti di fornire assicurazioni scritte sul fatto che tutti i dati che raccoglieranno con i sorvoli dopo il recesso degli Stati Uniti non saranno condivisi con il potente alleato. Lavrov ha inoltre aggiunto che le basi statunitensi in Europa non saranno esentate dalle missioni di sorveglianza russe.
Tali posizioni sono state ribadite il 22 novembre dal presidente della Commissione internazionale della Duma di Stato (la camera bassa dell’Assemblea Federale russa), Leonid Slutsky, il quale ha denunciato la volontà di Washington di far firmare agli alleati della NATO “documenti sulla condivisione di tali informazioni e sulla proibizione alle missioni russe nell’ambito di Open Skies di sorvolare le strutture militari statunitensi in Europa”. “Naturalmente, una situazione del genere è inammissibile per la Russia”, ha proseguito Slutsky, “pertanto dovremo agire in base ai nostri interessi di sicurezza. Altre parti del Trattato sui Cieli Aperti che sono contemporaneamente membri dell’Alleanza Atlantica devono dare chiare garanzie giuridicamente vincolanti che non condivideranno i dati dei loro voli di osservazione sulla Russia con Washington. Penso che i nostri ulteriori passi sul Trattato sui Cieli Aperti dovrebbero essere basati su questo.”
Per Biden la vera sfida è il rinnovo del New START
Dopo il ritiro dall’accordo sul nucleare con l’Iran nel 2018 e l’abbandono del Trattato INF (Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio) formalizzato il 2 agosto 2019, quello da “Open Skies” rappresenta il terzo recesso unilaterale degli Stati Uniti da un trattato di controllo degli armamenti deciso dall’amministrazione Trump, la quale, però, è giunta agli sgoccioli del suo mandato. Difficile dire adesso se il nuovo inquilino della Casa Bianca, Joe Biden, vorrà riportare gli USA nel Trattato sui Cieli Aperti: di certo avrà un motivo in più per cercare di finalizzare l’accordo con la Russia per estendere la validità del cosiddetto “New START”, l’accordo che pone il limite numerico di 1.550 testate e bombe nucleari per ciascuna delle due superpotenze, firmato a Praga l’8 aprile 2010 e di cui è prevista la scadenza il 5 febbraio 2021.