Delegazioni dei due governi rivali sono al lavoro in Marocco per gettare le basi di un accordo politico che metta finalmente a tacere le armi in Libia. Ma sul nuovo corso pesa l’incognita del generale Haftar.
Dopo l’entrata in vigore della tregua annunciata il 21 agosto dal leader del Governo di Accordo Nazionale (GAN) con sede a Tripoli, Fayez al-Sarraj, e dal presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk, Aguila Saleh, delegazioni delle due parti si sono incontrate nella città marocchina di Bouznika per “stabilizzare il cessate-il-fuoco e aprire negoziati per risolvere le divergenze tra le fazioni libiche”, come ha riferito l’agenzia di stampa ufficiale del paese ospitante. Questo era stato scelto anche per i negoziati che portarono alla firma dell’accordo di Skirat, datato 17 dicembre 2015, dal quale ebbe origine il suddetto Governo di Accordo Nazionale sostenuto dall’ONU.
Dopo una visita preparatoria a Rabat del rappresentante speciale ad interim dell’ONU in Libia, Stephanie Williams, i rappresentanti di Tripoli e Tobruk sono giunti in Marocco sabato scorso, 5 settembre. A fare gli onori di casa è stato il ministro degli Esteri marocchino, Nasser Bourita, il quale ha spiegato che il suo paese non avrebbe esercitato alcuna interferenza nei negoziati e auspicato, per la buona riuscita degli stessi, un approccio “realistico” da parte dei negoziatori. I colloqui, incominciati domenica 6 settembre (mentre al-Sarraj si recava a Istanbul per incontrare il presidente turco Erdogan), potrebbero protrarsi fino a venerdì 11. Tra le questioni in discussione, la selezione delle personalità che dovrebbero assumere la guida delle future istituzioni libiche rappresentative di tutto il paese, la struttura da dare a tali istituzioni e i dettagli relativi al cessate-il-fuoco proclamato il 21 agosto. In un comunicato stampa congiunto rilasciato l’8 settembre, le due delegazioni hanno dichiarato che il dialogo si stava svolgendo in modo “positivo” e “costruttivo”, e che aveva consentito di raggiungere “importanti compromessi”. Sembra dunque che stia riuscendo il tentativo di creare una piattaforma negoziale per il secondo round di colloqui che dovrebbe svolgersi a Ginevra nella seconda metà di settembre.
Sirte e al-Jufra: le battaglie da evitare a ogni costo
Altre iniziative per porre fine al conflitto libico sono miseramente naufragate negli anni passati, il che induce un inevitabile scetticismo riguardo alla possibilità che la crisi si sia finalmente instradata verso una soluzione politica. Tuttavia, oggi più che mai è fondamentale che tale soluzione si concretizzi, essendo necessario evitare che il confronto fra Tripoli e Tobruk, a causa del coinvolgimento diretto di numerosi attori stranieri, si trasformi in un pericolosissimo conflitto regionale.
Il rischio è collegato a un’eventuale battaglia per Sirte e per la base aerea di al-Jufra. Nei mesi di luglio e agosto, infatti, il conflitto tra le forze del GAN e l’Esercito Nazionale Libico (LNA) al comando del generale Khalifa Haftar (uomo forte del governo non riconosciuto di Tobruk) è rimasto nella situazione di stallo che aveva raggiunto il 9 giugno, quando i tripolini, grazie anche al forte sostegno militare della Turchia, erano arrivati a un tiro di schioppo dalla città portuale. La conquista di quest’ultima e della base di al-Jufra (dove sono rischierati numerosi aerei russi in supporto di Haftar), entrambe di grande importanza strategica, volgerebbe definitivamente le sorti della guerra in favore del GAN, un’eventualità che gli alleati stranieri di Haftar, in primis gli Emirati Arabi Uniti, sono decisi a impedire. Da qui il rischio di un’escalation estremamente pericolosa, che ha spinto la comunità internazionale a nuovi sforzi diplomatici. Il primo frutto di tali sforzi è stato il cessate-il-fuoco in tutta la Libia annunciato il 21 agosto. L’accordo prevederebbe anche la smilitarizzazione di Sirte e al-Jufra, nonché la partenza dalla Libia dei combattenti stranieri (mercenari e no), la revoca del blocco sulla produzione petrolifera e, per l’appunto, il rilancio del processo politico che dovrebbe portare, come esito finale, alle elezioni. Troppo bello per essere vero? E infatti.
Il generale Haftar si mette di traverso
Nonostante l’adesione di Tobruk alla tregua, le forze di Haftar hanno respinto l’accordo: il portavoce dell’LNA, al-Mismari, lo ha definito una mossa per “gettare fumo negli occhi” della comunità internazionale, denunciando una mobilitazione in atto di forze tripoline e turche per attaccare prima Sirte e al-Jufra, quindi la cosiddetta “mezzaluna petrolifera”. L’Egitto, sostenitore di Haftar, ha definito l’eventuale smilitarizzazione di Sirte un “cavallo di Troia” di coloro che vorrebbero entrare nella città in modo indiretto. Anche per questa diffidenza tra le parti, non è da escludersi che la tregua in questa regione cruciale della Libia venga in futuro garantita da qualche forma di tutela internazionale. Nel frattempo, i tripolini hanno accusato l’LNA di violare il cessate-il-fuoco, nei giorni a cavallo tra la fine di agosto e gli inizi di settembre, attraverso il lancio di decine di missili Grad contro le loro postazioni nell’ovest di Sirte. Il GNA ha denunciato anche la concentrazione di centinaia di mercenari siriani, yemeniti, sudanesi e russi agli ordini di Haftar nella città di Houn, 300 km a sud di Sirte, con 112 veicoli armati. Altri 70 veicoli delle milizie sudanesi Janjaweed sarebbero arrivati il 30 agosto nei pressi di Sirte, e posti di blocco sarebbero stati istituiti dalla zona orientale della città fino alla base di al-Jufra. In ultima analisi, l’incognita maggiore per la riuscita delle nuove trattative di pace sembra essere rappresentata dal generale Haftar e dal suo esercito composto in buona parte di mercenari stranieri. Tra i suoi sponsor internazionali, anche Egitto e Russia appoggiano i colloqui di Bouznika, mentre gli Emirati Arabi Uniti hanno più da perderci che da guadagnarci e potrebbero non esercitare un’influenza positiva. Sulla sponda opposta, la Turchia ha detto di seguire “da vicino” i negoziati.
Il fronte interno del GAN: le proteste popolari e il “caso Bashagha”
Nel frattempo, un fronte interno ha minacciato la coesione del Governo di Accordo Nazionale di al-Sarraj: il 23 agosto, a Tripoli e Misurata sono state inscenate manifestazioni per chiedere le dimissioni del governo tripolino a causa della corruzione dilagante e del peggioramento delle condizioni di vita della popolazione. Gli incidenti verificatisi a Tripoli, dove uomini armati hanno aperto il fuoco contro i manifestanti, hanno indotto il GAN ad annunciare, il giorno 28, l’avvio di indagini e la sospensione del ministro degli Interni Fathi Bashagha, figura chiave della difesa di Tripoli durante l’assedio portato da Haftar e capo delle milizie di Misurata. Bashagha è stato reintegrato il 3 settembre ed è rientrato a Tripoli scortato dalle sue milizie: il ripensamento del GAN potrebbe essere dovuto al timore di al-Sarraj di uno scontro fra i gruppi armati di Misurata e quelli di Tripoli, con conseguenze imprevedibili per la sua stessa leadership, e all’esigenza di non urtare gli alleati turchi, sostenitori di Bashagha. L’influenza di Ankara sul GAN era stata ribadita qualche settimana prima, il 17 agosto, quando a Tripoli il ministro della Difesa turco, il suo omologo qatariota e il viceministro degli Esteri del GAN hanno firmato un accordo che prevede la creazione a Misurata di un centro di coordinamento militare tripartito e l’istituzione di una base navale turca, nonché l’invio di consiglieri militari del Qatar per l’addestramento delle forze libiche e la formazione di quest’ultime in istituti militari turchi e qatarioti.