Ankara ha reso noto di aver ottenuto dal Governo di Accordo Nazionale libico le licenze di esplorazione e perforazione relative a 7 aree situate nel Mediterraneo orientale. Le ambizioni energetiche di Erdogan diventano così sempre più concrete, e gli opposti blocchi d’interesse nella regione sempre più delineati.
Il governo di Ankara, tramite il suo ministro dell’Energia Fatih Donmez, ha annunciato l’8 giugno che la Turchia cercherà petrolio nella Zona Economica Esclusiva (ZEE) libica sulla base dell’accordo sottoscritto a Istanbul il 27 novembre del 2019 con il Governo di Accordo Nazionale (GAN) libico riconosciuto dall’ONU e guidato da Fayez al-Serraj.
Nello specifico, durante un’intervista rilasciata all’emittente turca TRT Haber, Donmez ha affermato: “Nell’ambito delle trattative effettuate con il governo di Tripoli abbiamo ottenuto licenze per 7 lotti che rimarranno sospese per circa tre mesi; dopodiché, se non ci saranno altri candidati, inizieremo trivellazioni per ricerche sismiche entro i successivi tre-quattro mesi e definiremo le aree per la ricerca di petrolio”, aggiungendo poi che le navi turche Fatih e Yavuz hanno già effettuato studi per la perforazione nelle aree di interesse, mentre un’ultima esplorazione a Selcuklu-1 (a ovest di Cipro) è attualmente in corso.
Secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa turche, è stata la Turkish Petroleum (TPAO) a richiedere alle autorità libiche il permesso per le esplorazioni nel Mediterraneo centro-orientale.
Cosa prevede il Memorandum del 27 novembre e i successivi sviluppi
Il Memorandum d’intesa (MoU) firmato tra Libia e Turchia nel novembre del 2019 prevedeva, in due documenti intitolati “Accordi per la sicurezza e la cooperazione militare” e “Accordi per la restrizione delle giurisdizioni marittime”, l’impegno da parte della Turchia a inviare truppe in caso di bisogno da parte del GAN e la possibilità di condurre prospezioni e trivellazioni in una più estesa Zona Economica Esclusiva.
Un documento che ha creato tensioni sia con il governo di Tobruk e il suo “uomo forte”, il generale Khalifa Haftar, sia con i paesi che hanno interessi nel Mediterraneo orientale, come la Grecia, Cipro, l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti, i quali hanno definito illegale l’accordo poiché si riferisce a un’area in cui si sovrapporrebbero le ZEE greca, egiziana e libica.
Negli ultimi mesi, l’impegno turco a supporto del governo di al-Serraj, attraverso l’invio non soltanto di armi ed equipaggiamenti militari, ma anche di svariate migliaia di combattenti siriani turcomanni, è risultato decisivo nella riconquista di molte località del Nord-Ovest della Libia da parte delle forze del GAN, che la sera del 3 giugno hanno ripreso il controllo anche dell’aeroporto di Tripoli e il giorno successivo hanno annunciato la liberazione della capitale “in tutti i suoi confini amministrativi”.
Le ambizioni energetiche turche
In tale quadro, l’ambizione del governo di Ankara di diventare un attore globale nelle attività di estrazione di petrolio e gas diventa sempre più esplicita. Donmez ha ricordato come la Turchia abbia condotto attività esplorative in Libia per più di 20 anni, interrotte poi nel 2011 a causa della guerra civile. Ma l’attuale situazione in Libia sembra essere favorevole per la realizzazione di nuove infrastrutture, e a questo proposito il ministro dell’Energia turco ha dichiarato: “Gli appaltatori turchi conoscono bene la regione, e attualmente due grandi aziende private turche stanno costruendo due impianti di produzione di elettricità”.
Le affermazioni di Donmez sono state pronunciate pochi giorni dopo la riapertura dei pozzi libici di Sharara ed El Feel, controllati rispettivamente dalla joint venture tra la libica National Oil Corporation (NOC), la spagnola Repsol, la francese Total, l’austriaca Omv e la norvegese Equinor, e da quella di NOC ed Eni. (Questi pozzi avevano fermato le loro attività il 18 gennaio, allorché il comando generale del Libyan National Army del generale Haftar e la Guardia petrolifera – PFG avevano imposto l’interruzione delle esportazioni di petrolio.) In quest’ottica, l’intervento di Donmez fa intuire come il discorso energetico occupi un posto di primo piano nell’agenda politica del governo turco, il quale non vuole essere estromesso dalla conduzione energetica della regione ma, anzi, diventarne attore principale.
Per completezza d’informazione, aggiungiamo che i pozzi di Sharara ed El Feel sono stati quasi subito costretti a chiudere nuovamente per imposizione del “Battaglione Khalid bin al-Walid”, una milizia armata fedele al generale Haftar. Ne ha dato notizia il 10 giugno la NOC, la quale ha definito l’episodio un grave atto criminale che dimostrerebbe come la PFG sia “diventata simile a una milizia che esegue ordini di capi illegittimi allo scopo di servire interessi stranieri’’, con probabile riferimento ad Haftar e ai paesi che lo sostengono.
La posizione dell’Italia e dei paesi del Mediterraneo
Sul fronte opposto, paesi come Grecia, Cipro, Francia, Emirati Arabi Uniti ed Egitto hanno più volte rimarcato la propria opposizione alle iniziative e alla crescente influenza della Turchia, mentre l’Italia, nonostante i suoi trascorsi storici nel Mediterraneo e in Libia, non ha ancora assunto una posizione precisa tra i due fronti.
La rivalità fra quest’ultimi è stata acuita dall’esclusione della Turchia dall’Eastern Mediterranean Gas Forum (EMGF), ovvero il gruppo di lavoro per il coordinamento delle politiche energetiche nel Mediterraneo Orientale nato nel gennaio del 2019 dalla volontà di Cipro, Israele, Grecia, Egitto, Italia, Giordania e Autorità Nazionale Palestinese (ANP) di sviluppare una maggiore cooperazione nell’area, a cui si è aggiunta la firma, da parte di Grecia, Cipro e Israele, dell’Intergovernmental Agreement per la costruzione del gasdotto EASTMED che dovrebbe fornire un decimo del fabbisogno europeo di gas naturale entro il 2025 bypassando la Turchia.
Durante un’intervista rilasciata a Radio anch’io il 10 giugno, parlando della Libia, il sottosegretario agli Esteri italiano Marina Sereni ha affermato che l’Italia svolge ancora un ruolo fondamentale nel paese nordafricano, perché conosce in modo dettagliato la realtà di quel territorio e vi è ben radicata grazie alle sue aziende, prima fra tutte l’Eni, e per questo può fungere da interlocutore credibile in tutte le aree. A questo proposito, Sereni ha anche ribadito che la sicurezza energetica è in primo piano tra gli interessi nazionali italiani in Libia.
In definitiva, la Turchia sta diventando un attore sempre più importante nello scenario politico ed energetico della regione mediterranea, specialmente in Libia. Bisognerà aspettare per capire quali saranno le sue prossime mosse sullo scacchiere regionale, ma sicuramente l’Unione Europea e i paesi del Mediterraneo orientale dovranno attuare scelte più decise per non restare tagliati fuori dai giochi dalla nuova assertività del governo di Ankara.