Il costo del greggio è ai minimi storici dal gennaio 2019 e continua a scendere a causa della sempre maggiore diffusione del virus, nonostante la situazione in Cina si stia stabilizzando. Per affrontare l’emergenza, l’Organizzazione dei paesi esportatori ha proposto ulteriori tagli alla produzione, ma la misura è saltata per l’opposizione di Mosca.
Il nuovo coronavirus (Covid-19) è la maggiore emergenza sanitaria al mondo e il suo impatto si sta estendendo a livello globale. Tra i suoi effetti, anche il grande rallentamento del consumo di petrolio e dell’economia dei paesi colpiti, in primo luogo la Cina.
Il 4 e 5 marzo, a Vienna si è tenuto un vertice straordinario dei paesi dell’OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries – Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio) per trovare una misura contro lo choc che sta causando la diffusione del virus e per sostenere, in questo modo, i prezzi del greggio. Una decisione passata poi al vaglio dei paesi riuniti nell’OPEC+ (ovvero i paesi OPEC più gli undici principali produttori esterni al cartello guidati dalla Russia) il 6 marzo.
Il coronavirus ha influenzato anche l’organizzazione della stessa riunione, a cui non sono stati ammessi i giornalisti come misura precauzionale contro possibili contagi.
Il summit straordinario dell’OPEC e l’opposizione della Russia
L’OPEC aveva già dichiarato di voler proseguire con i tagli all’estrazione del petrolio almeno fino a giugno del 2020. Durante i primi due incontri, infatti, i 13 paesi del cartello sono riusciti a concordare un ulteriore taglio di 1,5 milioni di barili al giorno (circa l’1,5% del totale), che sarà effettuato fino al 30 giugno 2020. La decisione di attuare questo nuovo taglio drastico alla produzione ha incontrato l’opposizione dei paesi estranei al cartello, come la Russia (il secondo produttore mondiale di petrolio dietro gli Stati Uniti e davanti all’Arabia Saudita) e il Kazakhstan. Per cercare di convincere i suoi alleati, l’OPEC ha proposto loro di sostenere solo un terzo di tutti i nuovi tagli, ovvero 500.000 barili al giorno. Un’opzione su cui hanno spinto soprattutto l’Arabia Saudita (primo produttore del cartello) e l’Iran, certi che il taglio in questione avrebbe aiutato a prevenire un ulteriore collasso dei prezzi.
Il definitivo “no” ai tagli da parte della Russia è arrivato durante la riunione del 6 marzo. Un’opposizione che ha fatto saltare l’accordo OPEC+ e motivato dalla convinzione di Mosca che fosse prematuro fare una previsione di lungo termine circa gli effetti dell’epidemia di Covid-19 sulla domanda globale di petrolio. Senza un’intesa, l’accordo raggiunto alla fine del 2019 terminerà alla fine di marzo, con i paesi OPEC e i produttori al di fuori del cartello che potranno aumentare la propria produzione, con il rischio di un ulteriore crollo dei prezzi del petrolio a causa della combinazione di una iper-offerta e di una domanda limitata.
Il nuovo ruolo della Cina e gli effetti sul mercato
Dal 2003, anno in cui la Cina fu colpita dall’epidemia di SARS, il paese è profondamente cambiato: oggi è centrale nella supply chain mondiale, il che ha incrementato enormemente i viaggi da e per la Cina, un fenomeno che ha aumentato il rischio di diffusione del virus. Nel 2003 la domanda di greggio cinese era di 5,7 mb/d (milioni di barili al giorno) e nel 2019 è cresciuta fino a 13,7 mb/d, ovvero più del doppio (14% del totale globale).
Le conseguenze del Covid-19 sulla domanda globale di petrolio sono dunque significative, e ci si aspetta che tale domanda subirà un’enorme contrazione nel primo quadrimestre del 2020.
Prima della diffusione del Covid-19
Prima della diffusione del virus, il mercato del greggio era già teso a causa dell’eccesso di fornitura registratosi nella prima metà del 2020 e dovuto alla continua espansione di Stati Uniti, Brasile, Canada e Norvegia, oltre che alle minacce alla sicurezza delle forniture causate dalle tensioni in Iraq e dal crollo della produzione petrolifera in Libia. La prospettiva della domanda si è pertanto indebolita e i prezzi sono andati giù in modo significativo.
Per tali motivi, prima della crisi del Covid-19 il mercato già si aspettava di dover fronteggiare un equilibrio precario dovuto al possibile ulteriore taglio della produzione implementato all’inizio dell’anno. Con queste premesse, il rischio costituito dal nuovo coronavirus ha indotto i membri dell’Organizzazione a considerare il taglio alla produzione di petrolio quale misura di emergenza.
Primo taglio dei tassi di interesse dal 2009
Dall’inizio della crisi prezzi del greggio stanno fluttuando notevolmente con picchi molto bassi, così anche la Federal Reserve (Fed) ha cercato di reagire agli effetti del virus e, dopo la riunione dei ministri finanziari e dei governatori delle banche centrali del G7, ha annunciato il 3 marzo la decisione di effettuare un taglio d’emergenza dei tassi, il primo dalla crisi finanziaria del 2008. Ma nonostante un rialzo iniziale dei prezzi al barile, la fiducia dei mercati petroliferi ancora traballa.
La decisione più importante sui “tagli” sarebbe stata, quindi, quella dell’OPEC, che fronteggia una situazione di mercato estremamente grave, come ha dichiarato il presidente di turno dell’organizzazione, l’algerino Mohamed Arkab, per il quale c’è bisogno di “un’azione concreta, credibile, solidale e rapida”.
Ma il rifiuto dell’accordo da parte della Russia ha avuto un effetto istantaneo sui prezzi, che sono crollati: il Brent ha perso l’8,65%, scendendo a 45,3 dollari al barile, il livello più basso dal novembre 2016, mentre il Wti è sceso dell’8,91% attestandosi a 41,8 dollari, il prezzo più basso dall’agosto 2016.
Il prossimo incontro dell’OPEC è previsto per il 9 giugno. Nel frattempo, come dichiarato dal ministro dell’Energia russo, Aleksander Novak, nonostante il mancato accordo i paesi dell’OPEC e quelli esterni al cartello continueranno a lavorare come indicato nella carta di cooperazione di lungo termine stabilita nel 2019.