A tre anni dall’entrata in vigore del provvedimento, l’originaria volontà dei legislatori risulta disattesa nei fatti: il Parlamento abdica alla propria funzione di indirizzo politico su questioni di primaria importanza per il Paese, limitandosi a finanziare le esigenze strutturali delle FFAA con l’alibi degli impegni all’estero.
Era il luglio del 2016 quando, dopo un’attesa di quattro legislature, il Parlamento approvava definitivamente la “Legge quadro sulle missioni internazionali”. Lo scopo principale di coloro che auspicavano l’adozione del testo era quello di trasferire l’attenzione dagli aspetti meramente finanziari di tali missioni (come avveniva nella trattazione tramite decreto) alla loro rilevanza politica. La volontà dei legislatori era quella di creare uno spazio di discussione sulle missioni internazionali antecedente alla loro effettiva esecuzione, in modo che Governo e Parlamento potessero condividere la responsabilità di scelte “di sistema” e garantire a migliaia di uomini e donne all’estero una copertura non solo finanziaria e assicurativa, ma anche politica.
Tale condivisione, antecedente all’approvazione o al rinnovo, avrebbe dovuto consentire al Parlamento di assumere informazioni sul merito delle missioni in corso, oppure in approvazione, e di indirizzare il Governo verso alcune scelte, dando così uno spazio di manovra politico sia alla Camera, sia al Senato.
I nostri militari in missione oggi non sono coperti dall’autorizzazione politica prescritta dalla legge
A tre anni dall’entrata in vigore della legge, possiamo dire che la volontà dei legislatori abbia avuto attuazione nei fatti? A mio modo di vedere, molto poco, anche se alcuni passi in avanti sono stati fatti. In primis, è preoccupante che le strutture della Difesa e degli Affari Esteri non abbiano ancora tarato le proprie attività in modo da rispettare il termine indicato nella legge, ovvero la fine dell’anno precedente al rinnovo o all’autorizzazione di nuove missioni internazionali. Questa scadenza è stata fin dall’inizio disattesa, e se la cosa fu comprensibile per il primo anno, non lo è per quelli successivi. Ciò significa che la politica si preoccupa unicamente di rifinanziare le missioni internazionali nella legge di bilancio, ma non di dedicare loro la dovuta trattazione in aula entro la fine dell’anno. Ovvero, che i nostri militari in missione oggi non sono coperti dalla prescritta autorizzazione politica, rinnovando in questo modo proprio la carenza fondamentale che si doveva sanare rispetto ai precedenti decreti-legge. Se la questione assicurativa e di responsabilità civile e penale è stata in parte sanata con la legge quadro, la questione politica rimane, evidenziando un certo lassismo governativo su questo aspetto tutt’altro che secondario. Tale disattenzione corrisponde alla scarsa rilevanza del nostro Paese sulla scena internazionale, con le conseguenze che abbiamo descritto più volte in merito alla Libia e al Vicino Oriente.
I passi avanti nelle attività di divulgazione e informazione
Va detto che negli anni, dopo la prima presentazione degli atti di indirizzo, la procedura parlamentare si è affinata e ha consentito di avere alcune informazioni che precedentemente non erano disponibili. Il Ministero della Difesa si è prodigato nella preparazione di una documentazione più completa ed esaustiva sulle missioni, e con la XVIII legislatura si sono viste alcune attività divulgative e informative di pregio, come l’audizione avvenuta lo scorso anno anche del Comandante del COI (Comando Operativo di Vertice Interforze), l’attuale Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, per iniziativa del Presidente della Commissione Difesa della Camera, Gianluca Rizzo.
La necessità di una revisione politica e finanziaria delle attuali missioni
Detto questo, lo scorso anno fu un annus horribilis per la trattazione delle missioni: infatti il Parlamento non inserì alcun indirizzo al Governo, approvando pedissequamente tutte le missioni proposte, senza esprimere dubbi, domande o legittimi appunti su missioni che, oggi come allora, sono ed erano decisamente “chiacchierate”.
Come non porsi domande sulla missione in Afghanistan, le cui origini si perdono in un passato che è ormai remotissimo e della quale non si vede una fine (come non si vede una soluzione ai problemi che attanagliano quel Paese), ma nella quale siamo coinvolti ancora robustamente. E come non porsi dubbi sulla missione irachena, all’inizio giustamente finalizzata all’addestramento delle forze anti-daesh ma che, dopo la proclamazione della vittoria militare sullo Stato Islamico nel 2017, e oggi più che mai a seguito della risoluzione votata dal Parlamento iracheno (che invita il Governo di Baghdad a revocare la sua richiesta di assistenza alla coalizione internazionale che combatte lo Stato Islamico, stante la fine delle operazioni militari in Iraq), è da ritenersi in bilico, non basandosi su un mandato delle Nazioni Unite e trovando difficile spiegazione, giacché l’Iraq, per quanto importante, forse non rientra fra i nostri primari “interessi nazionali”.
Ancora: come non parlare della questione libica, sulla quale il Parlamento non ha proferito parola mentre l’Italia perdeva rilevanza in un’area che è fondamentale per l’approvvigionamento energetico e la nostra economia, e anche, per la gestione dei flussi migratori, i quali partono quasi tutti dalla Libia e sono diretti verso il nostro Paese. Come non porsi interrogativi sulla missione in Niger, giacché delle preliminari motivazioni fornite dal Ministero della Difesa, che ne giustificavano l’autorizzazione, non si è vista alcuna traccia nel corso del 2019; senza dimenticare che, a differenza della Francia che vi ha dispiegato circa 4.000 soldati, l’Italia non ha mai avuto un interesse strategico, storico e militare in Sahel, e dunque non conosce le dinamiche politiche, religiose e culturali per poter intervenire in quell’area geografica.
Perché occorre tornare all’impianto originario della Legge quadro
Purtroppo, e questo è uno dei punti dolenti della debole applicazione della legge quadro sulle missioni internazionali, non si è disinnescato l’alibi che faceva del “Decreto missioni” un semplice atto di autorizzazione finanziaria: ancora il Parlamento e il Governo non riescono a concepire una discussione compiuta sulle missioni, puntando esclusivamente a disporre un basket finanziario che si aggiri sempre e comunque su almeno 1,2 miliardi di euro, necessari a garantire una minima efficienza addestrativa e di manutenzione d’esercizio dei mezzi militari. Il che fa comprendere come il nostro Paese non si preoccupi di definire, con gli strumenti che ha a disposizione, una chiara linea d’indirizzo strategico, ma pensi soltanto a mantenere lo strumento militare con l’alibi delle missioni internazionali. Togliere questo velo di ipocrisia renderebbe merito a chi, professionalmente, svolge il compito istituzionale di definire i giusti mezzi per l’addestramento e la messa in esercizio dei sistemi della Difesa, lasciando al Parlamento e al Governo lo spazio di manovra politico e finanziario in relazione alle missioni internazionali.
Va detto che la legge quadro dovrebbe essere aggiornata, per tornare alla originaria stesura pensata dai membri della Commissione Difesa della Camera e dai relatori, senza la necessità di scrivere appositi DPCM per l’allocazione finanziaria delle risorse. Negli anni si è visto che questi atti sono causa di estremi rallentamenti nella definizione degli spazi di manovra finanziaria per il “fuori area” e, quindi, comportano spesso problematiche reali nei teatri di missione.
Purtroppo, così come per altre leggi, la tagliola finanziaria imposta dall’articolo 81 (cosi come modificato con il pareggio di Bilancio nel 2012) ha stravolto l’impianto originario della norma, che aveva un obbiettivo prettamente politico e non finanziario.
Auspico che a breve abbiano luogo le comunicazioni del Governo sull’andamento delle missioni internazionali e sul loro rinnovo, avvio (vedi necessaria missione in Libia, con un carattere vicino ma più assertivo rispetto alla missione UNIFIL in Libano) o riattivazione (vedi EUNAVFOR Med, necessaria per ristabilire capacità di intelligence e di controllo nei flussi migratori).
Oggi come non mai, questo Paese ha bisogno di una chiara e lungimirante visione di politica estera e di difesa.